L’antisemitismo, come ogni razzismo, è una malattia profonda della nostra società
Enrico Fink, presidente della Comunità ebraica di Firenze: "la Comunità Ebraica non si sottrae al confronto, non chiede censure nei confronti del dibattito sulla guerra in Medio Oriente. Piange ogni vittima, a Gaza come altrove, e ritiene fondamentale che l’attenzione del mondo si focalizzi laddove i conflitti insanguinano la terra". E sulla Giornata del 27 gennaio, aggiunge: "Soprattutto oggi, quando dittature populismi e razzismo rialzano la testa con arroganza e violenza nel mondo intero, riteniamo colpa grave ogni indebolimento della vigilanza antifascista. La lotta all'antisemitismo non è necessaria perché gli ebrei sono 'buoni'. È necessaria perché l'antisemitismo, come ogni razzismo, è una malattia profonda della nostra società"
Celebreremo quest’anno gli ottant’anni dalla liberazione del campo di sterminio di Auschwitz. Le celebrazioni che fino a pochi anni fa immaginavamo ampie e di grande impatto, si avviano invece, in questo Giorno della Memoria prossimo venturo, a svolgersi da più parti in tono minore, dimesso, quasi sottovoce – oppure ancora scegliendo di escludere completamente dagli eventi ricordati ogni riferimento alla deportazione ebraica; o ancora, in certi casi, a trasformare la giornata in una riflessione sui “genocidi” commessi ovunque nel mondo, con un particolare riferimento alla guerra in medio oriente e alla guerra a Gaza.
Utile qui ricordare l’articolo 1 della della legge che, nel luglio di 25 anni fa, istituiva finalmente un giorno per la memoria dei crimini razziali del fascismo in Italia: La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, «Giorno della Memoria», al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
È una legge molto specifica, che chiama la collettività a un esercizio di memoria difficile ma molto chiaro. È anche una legge che andrebbe integrata, senz’altro con altre e specifiche occasioni di memoria, a esempio, dei Rom e Sinti, egualmente cittadini del nostro paese, egualmente sottoposti a persecuzione e deportazione. Ma non è una legge generica, non un semplice inno alla pace, non un richiamo universale alla fratellanza fra i popoli.
È una richiesta, per legge, alla società italiana di riflettere su come, appena tre generazioni fa, sia stato possibile istituire il razzismo come fondamento legislativo del vivere civile. Come sia stato possibile elevare pregiudizio e discriminazione a legge dello Stato.
Un evento, quello delle leggi del ‘38 e delle persecuzioni che ne sono seguite, che ha avuto un nome e un’identità chiara, quella delle leggi razziste e antiebraiche, quello della “soluzione al problema ebraico”. Ogni tentativo oggi di appannare quella memoria, di nasconderla in una melassa confusa o, all’estremo, di costruire supposti parallelismi con le azioni, altrove oggi, degli eredi delle vittime di allora, è solo un tentativo, consapevole o meno, di offuscare la memoria, di salvare la coscienza della nostra società, di rifiutarsi ancora una volta di fare i conti con la propria storia, chiamando ad alibi una percepita correità del mondo ebraico ad altri orrori altrove. Non ribadiremo qui per l’ennesima volta la distinzione fra ebrei e israeliani: non è questo il punto.
Il punto è che la lotta all’antisemitismo non è necessaria perché gli ebrei sono “buoni”. È necessaria perché l’antisemitismo, come ogni razzismo, è una malattia profonda della nostra società.E l’antisemitismo una malattia specifica e con radici profonde nella cultura italiana ed europea, e dure a estirpare. Un compito necessario, oltre che la lettera di una legge dello Stato. Per essere ancora più chiari: la Comunità Ebraica non si sottrae al confronto, non chiede censure nei confronti del dibattito sulla guerra in Medio Oriente. Piange ogni vittima, e ogni vittima a Gaza come altrove, e ritiene fondamentale che l’attenzione del mondo si focalizzi laddove i conflitti insanguinano la terra. Anzi, vorremmo che lo si facesse di più e più spesso, magari non solo per quanto accade attorno a Israele, certo, ma senza esclusione alcuna.Vorremmo che fossimo capaci di portare dialogo e pace là dove tuonano i cannoni.
E per quanto non siamo rappresentanti di alcuna delle parti in causa, daremo volentieri il nostro contributo a qualunque riflessione, anche sull’attualità e sulla guerra, magari a volte mostrando opinioni diverse da quelle di chi ci sollecita, ma sempre con sensibilità e attenzione. Saremo, come siamo sempre stati, disponibili e pronti a partecipare a eventi, dibattiti, confronti, pubblici e privati.
Ma non il 27 di gennaio, non per il Giorno della Memoria. Soprattutto oggi, quando dittature populismi e razzismo rialzano la testa con arroganza e violenza nel mondo intero, riteniamo colpa grave ogni indebolimento della vigilanza antifascista. E questo sono, i tentativi di annacquare il senso del Giorno della Memoria. Un favore ai negazionisti, ai fascisti, ai razzisti di ieri e di oggi.
Enrico Fink (*)
(*) presidente della Comunità Ebraica di Firenze