Giorno della Memoria. Noemi di Segni (Ucei): “Nessuna pietà e pianto ma coerenza e responsabilità”
Noemi Di Segni al Sir: “È un giorno in cui fare un bilancio, quantomeno morale, delle scelte che sono state fatte e di quelle da fare oggi. È un giorno di ‘bilancio di civiltà’. Non vogliamo che sia solo un giorno in cui si ascoltano i testimoni e si piange con loro. Vorremmo che quel dolore vissuto e quell’orrore visto facciano capire come si è arrivati a quel punto. Ci si è arrivati perché c’erano delle falle e delle fragilità nella società italiana. Fare ‘Memoria’ significa fare un lavoro di coerenza e responsabilità”
“Non c’è solo una sfida di memoria e di storia. C’è anche e soprattutto la preoccupazione su come questa memoria sia abusata a volte per rilanciare forme di distorsione, di odio, di antisemitismo, di banalizzazione col timore che gli ultimi sopravvissuti che abbiamo in Italia – e sono solo sei – vivranno nei loro ultimi anni quello che hanno vissuto all’inizio della loro infanzia”. È questo lo stato d’animo con cui Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, vive quest’anno il “Giorno della memoria”. “E questo lo dico – aggiunge subito – perché un sopravvissuto che ha vissuto il genocidio ed ha visto Auschwitz, non può oggi sentirsi dire che i nazisti siamo noi, il nostro popolo o Israele. Questo è il primo sentimento che proviamo: un sentimento di disperazione per il lavoro fatto e forse non sufficiente”.
Cosa sta succedendo in Italia e in Europa?
C’è una sorta di membrana collettiva nella quale non si riesce a penetrare e che preferisce assorbire forme di comunicazione e di distorsione. La nostra preoccupazione è che i messaggi distorti creano una situazione di debolezza. Che cosa è diventata l’Europa dopo il ‘45? Che cosa rischiamo di perdere se non siamo in grado di proteggere e blindare le libertà riconquistate? Il nostro timore è proprio questo, che un’Europa capace di essere trascinata in una sorta di oblio, o peggio ancora in balia di inneggiamenti all’odio o di nostalgia fascista e nazista, è un’Europa che non capisce che quell’odio la vuole scavare da dentro. Il Giorno della Memoria quest’anno mette tanti punti interrogativi su quanto siamo capaci di portare avanti quel percorso intrapreso dai nostri padri dalla liberazione alle libertà.
Il Giorno della Memoria non appartiene solo agli ebrei, è di tutti gli italiani e con gli italiani anche delle Chiese che sono in Italia. Cosa vi aspettate?
Vorrei fare a questo proposito una precisazione importante. Il Giorno della Memoria non è un giorno nel quale esprimere pietà e vicinanza al mondo ebraico. È un giorno che ha due caratteristiche. La prima è capire quale sia stata la responsabilità italiana. È un giorno in cui fare un bilancio, quantomeno morale, delle scelte che sono state fatte e delle scelte da fare oggi. È un giorno di “bilancio di civiltà”. Non vogliamo che sia solo un giorno in cui si ascoltano i testimoni e si piange con loro. Vorremmo che quel dolore vissuto e quell’orrore visto, facciano capire come si è arrivati a quel punto. Ci si è arrivati perché c’erano delle falle e delle fragilità nella società italiana. Fare “Memoria” significa fare un lavoro di coerenza e responsabilità. La seconda precisazione è dire che il 27 gennaio è un giorno dedicato alla Shoah. Non è un giorno dedicato a tutte le espressioni di pace e di amore dell’umanità. E’ un giorno sulla Shoah. Le altre tragedie, gli altri eccidi e le altre situazioni che preoccupano moltissimo, meritano di essere conosciuti e affrontati in altre sedi e in altri momenti. Non si può abbracciare tutto e tutti insieme in maniera superficiale perché si rischierebbe di non comprendere la complessità e la profondità di ciascuna situazione.
Abbiamo gridato negli anni “Mai più”. La Memoria della Shoah che monito lancia al mondo di oggi?
Pensavamo che quegli orrori e quelle persone capaci di compiere atti del genere, non esistessero “mai più” e invece, dopo il 7 ottobre, l’abbiamo rivissuto. Il monito oggi è educazione e cultura di convivenza. E per chi vive in un contesto religioso, è anche impegno a lottare perché la religione sia “usata” per la vita, non per essere un motivo per trovare nell’altro la colpa, l’odio, la cattiveria e la morte. Usare la religione come percorso che aiuta a salvare e rafforzare la vita.