Israele e Palestina, tornare allo status quo ante “non è la risposta”
Dopo 11 giorni di attacchi, 260 morti e quasi duemila feriti le bombe non cadono più in Israele e nei territori palestinesi occupati. L'analisi di Philippe Bolopion, vice-direttore dei programmi di advocacy di Human Rights Watch
Dopo 11 giorni di attacchi, 260 morti e quasi duemila feriti le bombe non cadono più in Israele e nei territori palestinesi occupati. Ma tornare allo status quo ante “non è la risposta” secondo Philippe Bolopion, vice-direttore dei programmi di advocacy di Human Rights Watch.
Tutti vincitori, tutti perdenti. Entrambi gli schieramenti si ritengono ufficialmente vincitori di questi ultimi scontri. Israele ha fatto sapere di avere raso al suolo i tunnel sotterranei di Hamas e di avere ucciso “più di duecento militanti e almeno 25 figure di spicco”, anche se le cifre ufficiali sono diverse e raccontano soprattutto di morti tra i civili. Hamas, da parte sua, si mostra orgogliosa di aver resistito a un esercito più forte. Fatto sta che secondo la Croce rossa internazionale ci vorranno decenni per ricostruire tutto e in questo momento mancano alimenti, acqua e farmaci.
Il dramma di Gaza. La popolazione della Striscia di Gaza è vittima di un vero e proprio assedio da ormai quasi 15 anni. La giustificazione sbandierata è la presenza di Hamas, considerata terrorista da Israele, Usa e Ue. Tanto che tutti gli abitanti sono considerati potenziali terroristi e vengono trattati come tali: due milioni di cittadini vivono in appena 40 kmq di estensione, una prigione di fatto dove vengono violati i diritti più elementari. Per la Commissione per i diritti economici, sociali e culturali dell’Onu, per esempio, il 96% dell’acqua della zona non è potabile, sia a causa di infiltrazioni saline, sia per danni alle fogne provocate da attacchi da parte di Israele. E i danni si registrano sostanzialmente a ogni infrastruttura, ospedali e scuole comprese. Con tutto ciò che questo comporta in termini di violazioni del diritto umanitario (articoli 52 e 54 del Primo protocollo aggiuntivo delle Convenzioni di Ginevra).
Diritto internazionale. Nei recenti scontri si sono registrate varie violazioni. A partire dalla risposta sproporzionata da parte di Israele di fronte all’attacco di Hamas, una “punizione collettiva” che è vietata dalla quarta Convenzione di Ginevra. E lo stesso documento è stato violato dai razzi di Hamas, in quanto è proibito usare “armi che non possono essere dirette contro un obiettivo militare determinato”.
La storia della regione è però ben più antica. E le violazioni dei diritti umani contro i palestinesi vanno avanti dal 1948, anno dell’indipendenza di Israele. Così come denunciato da vari rapporti e risoluzioni dell’Assemblea generale dell’Onu e da diverse organizzazioni, che parlano anche di “water grabbing” e discriminazione nelle vaccinazioni. Tanto che la “Convenzione sull’Apartheid” del 1973 e lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale del 1998 parlano di un regime di apartheid contro i palestinesi.
L’articolo integrale di Roberto Renino (Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, master in Diritti Umani e Gestione dei conflitti), Israele e Palestina, conflitto all’insegna delle violazioni del diritto, può essere letto su Osservatorio Diritti.