Il ribollire dell’America Latina nello sguardo del premio Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel
L'argentino Adolfo Pérez Esquivel ricevette il premio Nobel per la pace nel 1980, mentre era incarcerato dalla Giunta militare al potere. A 88 anni mantiene uno sguardo attento alla “Patria grande” e ritiene che, in questo momento difficile, “la profezia” di papa Francesco sia la risposta per la crisi del Continente, che vive una generalizzata mancanza di giustizia e uguaglianza, e del mondo intero
L’America Latina sta vivendo il suo autunno più caldo da molti anni a questa parte: piazze piene, violenze e repressioni, repentini cambi di potere e fragili dialoghi. Non c’è quasi Paese, dal sud fino al Centroamerica, fino alle Antille, che non abbia conosciuto o non conosca proteste di piazza. Solo nelle ultime settimane, manifestazioni massicce hanno fatto tremare l’Ecuador, il Cile, la Bolivia. Ora ci è aggiunta, in modo inedito per la storia di quel Paese, anche la Colombia. I popoli si stanno svegliando? E’ la domanda che il Sir ha rivolto a un personaggio simbolo delle battaglie per la pace e la giustizia nel continente, il premio Nobel per la Pace argentino Adolfo Pérez Esquivel, che ricevette il riconoscimento nel 1980, mentre era incarcerato dalla Giunta militare argentina. Oggi, a 88 anni (li compie martedì 26 novembre), mantiene uno sguardo attento alla “Patria grande”; da pochi giorni è tornato dal Cile, dove è stato invitato a tenere delle conferenze, nel bel mezzo della crisi di quel Paese, dai vescovi del vicariato apostolico di Aysén, mons. Luis Infanti de La Mora, e di Concepción, l’arcivescovo Fernando Chomali.
Un intellettuale che rimane, insomma, un punto di riferimento, pur con alcune valutazioni discusse e opinabili su realtà come Cuba (è stato amico personale di Fidel Castro), il Venezuela e ora la Bolivia. Grande estimatore di Jorge Mario Bergoglio, con il quale ha un ottimo rapporto, ritiene che in questo momento difficile “la profezia” di papa Francesco sia la risposta per la crisi del Continente, che vive una generalizzata mancanza di giustizia e uguaglianza, e del mondo intero. Con un appello pressante alla “non violenza”, perché da essa viene “sempre e solo ulteriore violenza”.
Dunque professore, i popoli dell’America Latina si stanno svegliando?
Sì, la situazione è difficile, anche se devo dire che in America Latina vive in stato di ribellione permanente, per le politiche che lasciano il popolo della diseguaglianza, nella disoccupazione, nella mancanza di opportunità. I popoli non sopportano più le promesse mancate e le politiche sbagliate del Fondo monetario internazionale. E’ il fallimento delle politiche neoliberali, mentre stanno succedendo cose molto gravi in tutto il Continente.
In Cile la repressione del Governo si configura con reati di lesa umanità, ci sono segnalazioni di donne stuprate, di coinvolgimento di minori, tutto questo è molto preoccupante. In Bolivia stanno succedendo fatti preoccupanti, anche qui con violenze e repressioni. A mio avviso è in atto un golpe, con l’avallo dell’Organizzazione degli Stati americani. Il segretario Luis Almagro non ha più la legittimità per restare al suo posto, si è fatto strumentalizzare dagli interessi degli Usa. Ma possiamo parlare anche del Brasile, a partire dal modo in cui è stata deposta Dilma Rousseff e dalla vicenda giudiziaria di Lula, per continuare con le attuali politiche di Bolsonaro. O dell’Ecuador. Soprattutto, vorrei spendere una parola sulla gravissima situazione di Haiti, dimenticata da tutti, dove le manifestazioni durano da mesi e la gente soffre la fame.
Nella sua Argentina, però, si assiste in controtendenza alla vittoria della sinistra peronista…
In Argentina però abbiamo un debito impossibile da pagare. Ora vediamo come procederà il nuovo Governo. Personalmente sono convinto che quanto accaduto in Bolivia sia stato portato avanti anche per isolare l’Argentina, mentre anche alle elezioni in Uruguay appare favorita la destra neoliberale.
Pensando alla Bolivia, ma non solo, non pensa che anche la sinistra abbia avuto delle colpe in questi ultimi anni?
Francamente, mi pare che le colpe più grandi, in generale, siano quelle degli Stati Uniti, che tornano a condizionare la politica dell’America Latina e i governi democratici, non vogliono che si sviluppi in modo indipendente.
La violenza, nelle ultime settimane, è venuta dalle repressioni ma in vari casi anche dai manifestanti, soprattutto in Cile. Cosa ne pensa?
Dico che sì, è vero. E io sono sempre per la protesta non violenta. La violenza genera altra violenza.
Venendo a quanto è accaduto in particolare in Cile, ci sono stati degli episodi gravi. Mi viene da dire, però, che mi sembra siano fatti da persone che vengono da fuori e che comunque in essi non riconosco il popolo cileno.
Altre due piaghe dei Paesi latinoamericani sono il narcotraffico e la corruzione strutturale. Cosa fare per frenarle?
La guerra si finanzia con il narcotraffico, accade in Medio Oriente e anche qui. Ci vuole maggiore forza nel contrastarlo, a livello internazionale. Per la corruzione, occorrono meccanismi di controllo verso chi Governa, e una Magistratura più forte e indipendente, mi pare non ci sia altra strada.
Papa Francesco ha fatto e detto moltissimo per la pace nel Continente, da Cuba alla Colombia. E ha insistito più volte per una valorizzazione dei movimenti popolari. Condivide questo suo messaggio?
Credo che il Papa in questi anni abbia fatto per la pace in America Latina tutto quello che poteva, insistendo in particolare sui poveri. E poi voglio sottolineare l’importanza e l’impatto dell’enciclica Laudato Si’, del richiamo al rispetto della madre terra, ribadito anche nel recente Sinodo.
Tutto questo mentre l’Amazzonia va a fuoco e il presidente brasiliano Bolsonaro attua politiche in totale e assoluto disprezzo per l’ambiente. Poi, certo, è importante il ruolo dei movimenti popolari, che vanno liberati da settori violenti. L’esigenza è quella di rinnovare la politica, dare soluzioni, in grado di elevare il grado di benessere della popolazione. Oggi, purtroppo, il più delle volte ci troviamo di fronte a una politica degradata, che specula sui problemi più che risolverli, lontana dalla vita del popolo.
L’azione del Papa va appoggiata di più?
Papa Francesco chiede al mondo di cambiare il suo sguardo. Penso al Medio Oriente, penso al tema delle migrazioni, ai suoi viaggi a Lampedusa e a Lesbo. Ma anche i Governi europei guardano da un’altra parte. Molti cercano di silenziarlo. Il suo è un messaggio di radicalità evangelica, ma c’è chi, anche dentro la Chiesa, non vuole rinunciare ai propri privilegi. Bisogna continuare a riconoscere il lavoro che sta facendo il Papa e ad appoggiarlo.
Spera che il prossimo anno venga in Argentina e di poterlo incontrare?
Ne sarei molto felice, ovviamente non dipende da me. Spero che intanto il nuovo Governo realizzi le sue promesse. Il presidente Alberto Fernández avvierà una forte campagna contro la fame e sono contento che abbia chiamato José Graziano Da Silva, già direttore generale della Fao, potrà aiutare molto. I propositi sono buoni, poi devono trasformarsi in realtà. Spero che in Argentina, e non solo, si possa essere uniti nella diversità.