I rigori dell'inverno demografico. Contro le culle vuote
Sarebbe sufficiente tornare a un tasso di fecondità totale di 1,45 figli per donna per bloccare la caduta libera, ma il clima sociale non sembra sensibile a questa problematica.
I bambini scompaiono dalle nostre strade, dalle case, dalle scuole. Ne incontriamo sempre meno. Ognuno di noi è la comunità insieme se ne fa sempre meno carico. Era previsto un lento declino demografico a causa dell’invecchiamento della popolazione, invece stiamo assistendo a un crollo verticale delle nascite.
Il 2017 ha contato circa 470mila neonati e le stime per l’anno appena trascorso sono inferiori (forse intorno ai 460mila). Per capire l’impatto del fenomeno si potrebbe considerare che la previsione media fatta circa dieci anni fa ipotizzava che il calo non scendesse sotto i 520mila nel 2018.
Questo è un vero deficit per il nostro paese. La mancanza di figli, la scarsità di fasce anagrafiche, che spingono gli adulti a preparare il futuro per il loro futuro, impoverisce tutti e porta alla stagnazione del nostro paese, perché non ci trova disponibili a sacrificarci per qualcuno.
Eppure ci spiegano i demografi che sarebbe possibile invertire la rotta, come evidenziano in un articolo Alessandro Rosina e Marcantonio Caltabiano su lavoce.info. Si stima infatti che sarebbe sufficiente tornare a un tasso di fecondità totale di 1,45 figli per donna per bloccare la caduta libera e mantenere i neonati nell’anno al livello del già basso 2017. Invece per iniziare una risalita è arrivare a 500mila bimbi nell’anno bisognerebbe stimolare una minima crescita per toccare 1, 58 figli per donna. In entrambi i casi si tratterebbe di arginare un fenomeno, non di tornare al tasso di riproduzione naturale della popolazione (2,1 figli per donna). Sarebbe comunque un segnale importante. Però il clima sociale non sembra sensibile a questa problematica.
Servirebbero alcune attenzioni politiche per favorire la conciliazione vita lavoro e per promuovere i servizi per la prima infanzia, servirebbe una crescita della sensibilità delle imprese verso il Welfare aziendale, ma soprattutto avremmo bisogno di una nuova cultura che restituisca un valore reale e non astratto alla genitorialità e alla formazione di una famiglia, perché: «le tensioni indotte da una esasperata cultura individualistica del possesso e del godimento generano all’interno delle famiglie dinamiche di insofferenza e di aggressività. E aggiungerei – afferma Papa Francesco nell’Amoris Laetitia – il ritmo della vita attuale, lo stress, l’organizzazione sociale e lavorativa, perché sono fattori culturali che mettono a rischio la possibilità di scelte permanenti» (n.34). Quando si rimane schiacciati dal forte livello di competizione nella società, diventa arduo coltivare l’idea della responsabilità genitoriale. Le attenzioni pubbliche e private, personali e collettive partono dalla capacità di favorire questo scatto nella nostra cultura.