Giubileo, invito rivolto a tutti. Esercitiamoci nella speranza
È dono di Dio che implica una risposta responsabile. Ecco come: liberandosi e liberando dalla tirannia del “tutto e subito”, esercitando l’audacia e... perseverando
All’inizio di un nuovo anno sono numerosi i desideri di cambiamento. Eppure, guardando quanto sta avvenendo nel mondo, il presente sembra una sfida immensa alla speranza. Il dramma della guerra e delle migrazioni, il disagio sociale a vari livelli, la questione ambientale, il crescente individualismo personale e nazionale, i rigurgiti di razzismo, la questione demografica, lo scandalo degli abusi, la divisione tra i cristiani: tutto sembra una smentita della speranza. Dentro questo scenario possiamo lasciar risuonare una parola che san Paolo rivolge alle comunità cristiane di Roma: «Ritengo che le sofferenze del momento presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi» (Rm 8,18). Questa frase annuncia che i drammi dell’attualità non “smentiscono” la gloria futura. Le sofferenze del mondo all’inizio di questo 2025, che per la Chiesa è un anno giubilare, sono le stesse del 2024. In questa situazione che cosa significa sperare? Innanzitutto, la speranza evangelica non è evasione dalle fatiche del presente, non è ottimismo superficiale in base al quale tutto andrà bene, non è sognare a occhi aperti nell’illusione che la durezza e il non senso del presente possano magicamente trasformarsi. La speranza non è nemmeno un’evasione o un anestetico con il quale distaccarsi dal contatto con il reale duro e complesso. In quanto virtù teologale, la speranza è capacità di abitare il limite in modo consapevole, riconciliato e nell’attesa. La speranza abita e attraversa il limite, senza renderlo un assoluto e senza fingere di non vederlo, aprendosi e tendendo a un compimento che non proviene dai propri sforzi. In secondo luogo, sperare si coniuga con il verbo “compiere”. Il discepolo di Gesù spera uno specifico compimento: essere pienamente configurato a Cristo, nel suo mistero di croce e risurrezione. Se nel nostro discorrere quotidiano capita di esclamare: «Speriamo che domani vada meglio!», la fede in Gesù ci insegna a invocare: «Spero che domani si compia!». Nel primo modo di dire la persona è in preda al caso: chi può avere il controllo su quanto accadrà domani, così da poter confidare in un reale miglioramento delle situazioni drammatiche? La seconda espressione presuppone che ci sia una certezza che resta salda e affidabile: qualsiasi cosa accada, è possibile si compia un po’ più di ieri la progressiva conformazione a Cristo. La speranza abita i limiti del tempo presente, ma si radica nel passato delle promesse di Dio, lanciando lo sguardo al compimento definitivo di esse e, pertanto, allargando l’orizzonte del futuro. Per questo motivo, la speranza è l’antidoto all’illusione egocentrica di bastare a sé stessi, di poter fare da soli, di essere la misura di ogni cosa e di ogni persona. La speranza cristiana è attendere da un altro, da Dio, il compimento che desideriamo e che è offerto nel volto, nella vicenda, nelle parole di Gesù. In terzo luogo, mantenendo viva la tensione tra il presente segnato dalla drammaticità e il compimento futuro, la speranza implica lotta ed esercizio. In quanto virtù teologale, la speranza è dono di Dio. Tuttavia, come racconta la Bibbia, ogni dono divino implica anche una “conquista”, una risposta responsabile. Occorre, pertanto, esercitarsi nella speranza. Un primo esercizio è liberarsi e liberare dalla tirannia dell’istante momentaneo. Chi è prigioniero del “tutto e subito” non riesce a sperare. La mentalità dell’istantaneo cancella la memoria. Sperare è ricordare, non per piangere i bei tempi andati, ma per continuare una storia che ci precede e che attende il compimento. Un secondo esercizio è l’audacia che riesce a scorgere ciò che ancora non si vede. L’audacia apre le persone e le comunità alla fede che l’inaudito e l’impossibile possono accadere grazie a Dio. Per quanto razionalista e tecno-scientifica possa essere la nostra cultura contemporanea, non è più soddisfacente una descrizione asettica e astratta della realtà: il cuore umano attende il compimento, che Dio riesce a rendere possibile! Un terzo esercizio è la perseveranza. Questo atteggiamento ci porta a dimorare e attendere dentro le diverse situazioni. A volte, quando andiamo in crisi o c’è una difficoltà, tendiamo a scappare. La speranza è capacità di rimanere e attendere il compimento che noi non possiamo realizzare, perché giunge come un dono, anche attraverso i passaggi incerti, instabili e non immediatamente comprensibili. Il Signore viene: lo ha promesso lui. Non secondo i nostri tempi e progetti. Ha promesso che viene, non che verrà: «Io sono l’Alfa e l’Omega, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente» (Ap 1,8). Questa è la nostra speranza!
don Andrea Albertin
Direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Padova