Ergastolo ostativo, Antigone: “Più facile uscirne con la morte che con il rientro in società”

L’associazione nazionale chiama a raccolta i suoi esperti per fare il punto dopo la pronuncia della Consulta e la dichiarazione di incostituzionalità. I dati e i commenti dei giuristi. 1784 detenuti all’ergastolo, il 70% ostativo. “Nell’ultimo decennio, ogni anno, le persone morte in carcere sono state più di quelle che hanno ottenuto la liberazione condizionale”

Ergastolo ostativo, Antigone: “Più facile uscirne con la morte che con il rientro in società”

Un anno di tempo: è quello concesso al Parlamento italiano per adeguare la nostra legislazione alla pronuncia della Consulta che lo scorso 15 aprile ha dichiarato incostituzionale l’ergastolo “ostativo”: il carcere a vita che prevede l’accesso alla liberazione condizionale solo se si collabora con la giustizia. E mentre è iniziato il conto alla rovescia, giuristi ed esperti studiano e propongono le possibili forme di adeguamento.
Per fare il punto sulle “Ragioni della Corte e il ruolo del Parlamento”, l’associazione Antigone ha promosso questa mattina un incontro online, condotto da Susanna Marietti, coordinatrice nazionale dell’associazione, con due componenti del comitato scientifico: Ignazio Juan Patrone, già sostituto procuratore presso la Corte di cassazione e principale autore dell’amicus curiae che Antigone ha presentato alla Consulta in occasione della decisione, e Marco Ruotolo, professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università Roma Tre.

In Italia 1784 detenuti all’ergastolo, il 70% ostativi

“La convinzione che ‘in Italia l’ergastolo non esiste’ è smentita dai numeri” ha sottolineato Susanna Marietti delineando il quadro nazionale ed europeo. “Al 31 dicembre 2020 le carceri italiane ospitavano 1.784 detenuti all’ergastolo con numeri in costante aumento. All’inizio degli anni 90 questo dato si aggirava intorno alle 400 unità”. Un andamento fisiologico per il maggiore flusso in entrata rispetto a quello in uscita “ma non solo e nei prossimi anni si prevede un ulteriore aumento a causa della legge del 2019 che rende inammissibile il giudizio abbreviato e la conseguente sostituzione di pena per i delitti puniti con l’ergastolo”.
In crescita anche il peso percentuale sul totale dei condannati: “All’inizio del millennio eravamo intorno al 2,8 per cento, oggi sfioriamo il 5. Dei circa 1.800 detenuti ergastolani, oltre il 70 per cento sono ostativi: questo ergastolo senza speranza pesa quasi per i tre quarti del totale”.

Uno sguardo all’Europa. “Nell’Europa allargata (47 Paesi del Consiglio d’Europa) ci sono oltre 27 mila detenuti ergastolani e l’Italia pesa con un 6,5 per cento: in termini assoluti – ha proseguito la coordinatrice di Antigone - seconda solo a Turchia, Russia e Regno Unito. Rilevante anche il numero degli ergastolani sul totale degli abitanti: in Italia registriamo un 2,9 ogni 100 mila abitanti mentre in Europa il valore mediano è 1,4: l’Italia occupa il 36mo posto su 47, dopo di noi Turchia, Estonia, Lettonia e pochi altri. In Italia l’ergastolo esiste nella prassi e nella norma ed è andato crescendo senza che ci fosse un parallelo andamento del crimine”.

“Nell’ultimo decennio, in ogni anno le persone morte in carcere sono state più di quelle che hanno ottenuto la liberazione condizionale: 33 tra il 2001 e il 2020 contro 111 ergastolani deceduti (dato in crescita). E’ più facile uscire dall’ergastolo con la morte che con il rientro in società – ha concluso Susanna Marietti -. Speriamo che questo stato di cose cambi con la pronuncia della Corte Costituzionale”.

Il parere degli esperti

“La materia è scottante – ha commentato Juan Patrone –: dietro a quella che è una ideologia della lotta al crimine organizzato si è creata attenzione da parte dell’opinione pubblica. Nelle settimane precedenti alla pronuncia molti magistrati, soprattutto le Procure, hanno manifestato la necessità del mantenimento dell’ergastolo ostativo per il crimine organizzato. La Corte affronta la questione e diventa una ‘Corte legislatore’ perché indirizza il legislatore a intervenire nel modificare sia nei tempi che nei modi una disciplina. Ed è una novità. Così come l’importante apertura alla società civile con lo spazio riservato alle osservazioni arrivate dall’esterno”.

Nello specifico, “i punti ora sono due: onere della prova e competenza. Onere della prova: se una persona è detenuta da molti anni, ha ricevuto visite solo dei parenti stretti, ha seguito i programmi, non ha subito sequestro di cellulari, pizzini o altro materiale, se non risultano contatti con altre persone provenienti dagli stessi ambienti criminali, mi domando: cosa altro deve provare?  E mi risulta ardua l’idea che una persona debba provare di non fare una certa cosa. Il secondo problema riguarda la competenza territoriale. Sarebbe molto pericolosa una giurisprudenza a macchia di leopardo ma l’accentramento in un’unica sede con una preponderanza di un Pubblico ministero come la direzione nazionale antimafia sarebbe una deviazione piuttosto forte anche se mi rendo conto che le ragioni potrebbero anche esserci”.

Il possibile seguito legislativo

“Per come leggo i contenuti dell’ordinanza della Corte – ha spiegato Marco Ruotolo -, il ‘seguito’ legislativo dovrebbe orientarsi su altri punti. Bisognerebbe ragionare, anzitutto, sulla questione di come superare la permanente e condivisibile presunzione di non ravvedimento conseguente alla mancata collaborazione. Il profilo del capo clan, che peraltro, di solito, resta in regime di 41-bis anche a distanza di tempo dal reato o dalla condanna, o dell’affiliato è ben diverso da quello di chi abbia agevolato l’associazione o si sia avvalso del metodo mafioso. È qui che il legislatore potrebbe introdurre, riguardo alla posizione dell’’estraneo’, la prova in positivo in luogo della prova negativa, non precludendo, anche in assenza di collaborazione, l’accesso alla liberazione condizionale ‘salvo che siano stati acquisiti elementi tali da far ritenere sussistenti attuali collegamenti con la criminalità organizzata’. Per il “partecipe”, viceversa, questo accesso resterebbe possibile “allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata” (e “il pericolo del ripristino di tali collegamenti”, sempre ove, come già scritto, s’intenda ribadire tale condizione pure per la liberazione condizionale).

La prima proposta di legge

“Una prima proposta di legge di recente annunciata – prosegue Ruotolo -, sembra puntare su tre aspetti: l’inversione dell’onere della prova (è il detenuto a dover dimostrare di aver rescisso i legami con la criminalità), l’accentramento della competenza per le richieste sui ‘benefici’ presso il Tribunale di sorveglianza di Roma e la necessità di acquisizione del parere del Procuratore nazionale antimafia o del procuratore distrettuale antimafia. Due di questi punti sono già compresi nelle indicazioni presenti nella decisione della Corte costituzionale riguardante i permessi premio. Quello non compreso, e che mi desta perplessità, riguarda la competenza esclusiva che sarebbe assegnata al Tribunale di sorveglianza di Roma, proprio perché valutazioni che riguardano il percorso del singolo richiedono, a mio giudizio, che la valutazione sia compiuta in ossequio al principio di prossimità, essendo il magistrato del luogo di espiazione quello che dovrebbe avere migliore conoscenza della persona condannata. L’altro punto sul quale ragionare riguarda le cosiddette misure intermedie, lavoro all’esterno e semilibertà, per le quali la corte auspica in modo chiaro un intervento del legislatore. La preclusione assoluta dovrebbe saltare anche per queste, nella logica del possibile avvio di un percorso di recupero della libertà”.

Riforma e 41 bis

“Nell’opinione pubblica si fa molta confusione sulla base di una sorta di equazione per cui i condannati per delitti connessi al fenomeno mafioso sarebbero tutti in regime di 41-bis – spiega il professor Ruotolo -. Sulla base delle pronunce della Corte costituzionale nessun condannato che abbia conservato collegamenti con la criminalità organizzata potrà usufruire di benefici. E la collaborazione, insieme alla rescissione dei collegamenti, resterà la ‘via maestra’ per poter ottenere permessi-premio e liberazione condizionale, nonché semilibertà e lavoro all’esterno. Se si sceglie di non collaborare l’accesso a quelle misure sarà comunque difficile e persino improbabile, ma non più impossibile, essendo finalmente ammesso che il condannato possa dimostrare, nonostante quella scelta, di essere una persona diversa e soprattutto di non aver più rapporti con la criminalità organizzata”.

Teresa Valiani

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)