E' “peggio” la disabilità o il complottismo? Così la distrofia diventa "virale"
Lanciata da Parent Project per sensibilizzare e raccogliere fondi, la campagna sta scatenando proteste e critiche: sei volti di persone con distrofia di Duchenne riflettono: “Poteva andarmi peggio. Potevo essere no-vax”. Oppure omofobo, razzista, complottista, terrapiattista, negazionista. Strumentalizzazione? Insulto? L'associazione si difende: “Finalmente virale la distrofia di Duchenne”
“Poteva andarmi peggio. Potevo essere no-vax”. Oppure razzista, o terrapiattista, o negazionista, oppure omofobo. E' il messaggio pronunciato dai sei volti della campagna di comunicazione e raccolta fondi di Parent Project, l'associazione che si occupa di sostenere le persone con distrofia di Becker e di Duchenne e le loro famiglie. Sei volti sorridenti, che appartengono ad altrettante persone – tutti maschi - colpiti dalla patologia. La campagna è diventata “virale” in pochi giorni, grazie soprattutto alle polemiche che ha suscitato e a un dibattito che non accenna a smorzarsi. Può una malattia degenerativa essere paragonata, anche solo per scherzo, a un pensiero per lo più condannabile e condannato, o per alcuni a un pensiero semplicemente diverso? E può il fine - rendere una campagna virale ed efficace, per raccogliere fondi per la ricerca - giustificare i mezzi – quelli di una provocazione che inevitabilmente divide gli animi e solleva critiche?
La provocazione....
Iniziamo dalla forma e dallo scopo della campagna: sei pannelli, ciascuno con l'immagine di una persona con distrofia, per sei diversi messaggi: l'incipit è lo stesso – 'Poteva andarmi peggio' – la seconda parte invece varia, chiamando in causa diverse categorie: “Potevo essere no-vax”, oppure “omofobo”, o “razzista,”, o “terrapiattista”, o “negazionista”, o “complottista”. Sei categorie che, soprattutto negli ultimi mesi, hanno riscosso una generalizzata e diffusa condanna. Come sottolinea il messaggio pubblicato nel lancio della campagna sui social: “Per alcune persone la ricerca non può fare nulla, ma per i ragazzi che convivono con la distrofia muscolare di Duchenne e Becker ha fatto tanto migliorando la loro aspettativa di vita. Proprio per questo i nostri ragazzi ci hanno messo la faccia contribuendo attivamente alla realizzazione della campagna. Anche tu puoi fare un gesto straordinario sostenendo la ricerca”.
… e la reazione
Le critiche non si sono fatte attendere, popolando i social dell'associazione con commenti per lo più aspri: c'è chi parla di “strumentalizzazione della sofferenza” chi di “campagna scandalosa, che crea ulteriore divisione sociale (come se ce ne fosse bisogno), attraverso un mix di etichette usate a casaccio”; c'è chi afferma che all'associazione “ interessava solo darsi visibilità, ci sono riusciti anche se hanno fatto una figura pessima: la dignità vale più di qualsiasi donazione” e chi ricorda che “le campagne di sensibilizzazione devono essere finalizzate alla coesione, non creare ulteriori fratture sociali”. E poi ci sono, naturalmente, le stroncature di chi si sente chiamato direttamente in causa, no-vax o “complottista che sia”.
Tante e diverse critiche, cui l'associazione sente di dover rispondere, prima sui social, spiegando le finalità e il senso della campagna, il cui “obiettivo è sdoganare il modo in cui si parla della disabilità, un punto indispensabile per poter realmente parlare di inclusione. I testimonial di questa campagna sono i ragazzi, ragazzi con distrofia muscolare di Duchenne, consapevoli e ben felici di metterci la faccia e l'autoironia. Ben felici perché hanno provato sulla loro pelle tutti i colori del luogo comune, decidendo di riderci su! In questa campagna non giudichiamo ciò in cui ognuno di noi crede, non paragoniamo una convinzione ideologica ad un'altra”.
Interviene anche l'ideatore della campagna, Riccardo Pirrone (agenzia KIRweb), che spiega: “Abbiamo realizzato la campagna pubblicitaria tutti insieme, siamo andati a fare le foto e i ragazzi hanno scelto la frase che volevano abbinare alla loro immagine. Sono particolarmente fiero di questa campagna social, perché è coraggiosa, attuale, forte, decisa e simpatica come loro”. E rilancia: “La ricerca ha fatto grandi progressi, ma c’è ancora bisogno di noi. C'è bisogno soprattutto di andare sul profilo di Parent Project aps e di supportare la campagna, perché i no-vax stanno offendendo i ragazzi e stanno spammando le loro idee strampalate. Diciamo strampalate. Ci aiutate? Mica sarete dei complottisti??”.
Ma non serve, questo, a smorzare le proteste: continuano a piovere critiche e proteste, tanto che l'associazione ieri ha diramato un comunicato in cui difende ancora la sua scelta, anche alla luce del successo mediatico della campagna. Significativo il titolo della nota: “Finalmente 'virale' la Distrofia di Duchenne e Becker!”. Un successo certificato dai numeri: “Un messaggio di forte impatto, che sta già ricevendo, nelle prime ore dal lancio della campagna, reazioni molto accese sui social media, in particolare su Facebook, piattaforma sulla quale le visualizzazioni sono salite vertiginosamente – una copertura di oltre 224 mila utenti, circa 57 mila interazioni col post, circa 7.541 reazioni dirette e 7.500 commenti. Insieme alle visualizzazioni si moltiplicano, appunto, i commenti sia positivi, sia negativi, che arrivano agli insulti diretti ed alle accuse di strumentalizzazione verso i giovani testimonial. Accuse subito smentite dall’associazione e dai pazienti stessi, pronti a ribadire il loro ruolo attivo nella campagna così come nella vita. Sono i pazienti stessi a prendere la parola in questa campagna, smontando attraverso un paradosso ed un’ironia graffiante il preconcetto che nascere con una patologia rappresenti la peggiore delle sfortune possibili; e a trasmettere l’idea di essere persone pronte a giocare un ruolo attivo nel mondo che le circonda e ad esprimere le proprie opinioni, non condizionate da etichette legate alla disabilità”.
I caregiver: “Non ci piace. Disabilità non è una scelta”
Degne di attenzione sono le voci di chi la disabilità o la malattia le ha in casa: mamme e papà di figli di cui si prendono cura ogni giorno. Come Elena Improta, presidente di Opltre lo sguardo onlus: “Essere terrapiattista, negazionista, ecc. sono scelte. Diverso è vivere sulla propria pelle una condizione di disabilità così grave e degenerativa. Sono immagini completamente diverse: non si fa una campagna di sensibilizzazione o raccolta fondi paragonandosi a persone dotate di una struttura fisica, motoria, mentale in grado di fare delle scelte. Chi vive sulla propria pelle una disabilità così grave e degenerativa non ha scelta. Perché non si domanda a una madre se avrebbe preferito un figlio no-vax piuttosto che un figlio psichiatrico grave, o tetraplegico?”. Commenta un'altra mamma caregiver, che preferisce restare anonima: “E' grave che delle persone con disabilità siano prese come termine di paragone infimo rispetto a categorie di persone che la società condanna: quelle contro i vaccini, contro la scienza, contro l’omosessualità eccetera eccetera. Perché i disabili devono essere presi come termine di paragone negativo? Questo è un insulto”.
Molto critico anche il genitore di un bambino con la distrofia di Duchenne: “Non mi piace – commenta – Come me, tanti genitori non condividono questa campagna e stanno esprimendo il proprio disappunto sui social dell'associazione. Prima di tutto, è un paragone che non ha senso: la distrofia di Duchenne è una malattia che può solo peggiorare, non ha rimedio, un destino che non si può cambiare. Diversamente, essere no-vax, o negazionista o tutto il resto è frutto di convinzioni che possono cambiare da un momento all'altro e per tutto il corso della vita. Perfino l'assassino può redimersi: ma la distrofia di Duchenne no”. E poi, c'è una considerazione più pratica, espressione del pragmatismo necessario che per un careviger è strategia di sopravvivenza: “I nostri figli sono in condizione di totale dipendenza dal prossimo: c'è poco da decidere chi deve o non deve aiutarli. Se mio figlio cade dalla carrozzina, perché magari c'è una buca sull'asfalto, accetta l'aiuto di chiunque glielo offra. Così, un'associazione che chiede aiuto per le famiglie, deve rappresentare i bisogni di quelle famiglie e accettare l'aiuto di chiunque lo offra: non può permettersi di selezionare in base al credo, o al pensiero politico o culturale”.
La conclusione la lasciamo a una mamma: "Poteva andarmi peggio, potevo nascere piena di pregiudizi. Invece sono la mamma di Simone, un meraviglioso bambino affetto da distrofia muscolare di Duchenne, a cui insegno quotidianamente l'amore, la tolleranza, il rispetto delle minoranze e delle loro opinioni. Simone si terrà sempre lontano dagli sciacalli che strumentalizzano il dolore altrui".
Chiara Ludovisi