Di fronte al caso di Giulia Cecchettin ci si interroga sulla responsabilità dei media. Parla Chiara Giaccardi
Programmi televisivi e stampa sono cartina al tornasole e strumento di replicazione di un malessere più grande. Famiglia e scuola più coinvolte per ripensare al rapporto tra generi
Un caso di cronaca nera divenuto media event da manuale: la tragedia di Giulia Cecchettin è stata ampiamente raccontata – con toni e sensibilità assai diverse – nei mezzi di comunicazione vecchi e nuovi, suscitando al tempo stesso forti emozioni e dibattiti polarizzanti. Chiara Giaccardi, docente ordinario di Sociologia e antropologia dei media dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, spiega il perché: «Il caso di Giulia Cecchettin aveva caratteristiche diverse rispetto ad altri eventi. Non si trattava infatti di adulti di mezza età, magari con problemi economici e sociali, ma di una ragazza giovane, nel fiore degli anni che poteva essere figlia di tutti noi, una ragazza con le porte aperte davanti e una laurea vicina». Ma diverso in questa vicenda è stato anche il comportamento dei familiari: «Prima la sorella Elena, e poi il padre Gino nel discorso ai funerali hanno contribuito a disegnare una cornice culturale dentro la quale insiste il fenomeno del femminicidio: non un evento privato in cui un singolo perde la testa, ma questione culturale che va affrontata in modo collettivo e non solo punendo il colpevole». Elena Cecchettin ha evocato la categoria del patriarcato: «Possiamo essere d’accordo o meno ma è stato molto utile sollevare la questione. Il patriarcato, dimensione della cultura italiana del passato, ben si coniuga con la crisi del maschio che tutti i sociologi e psicologi hanno evidenziato». Anche il padre di Giulia, Gino Cecchettin, con il suo ormai celebre discorso ha richiamato i media e la scuola alle loro responsabilità per debellare una cultura maschilista che parte dalle battute e che può arrivare all’estrema conseguenza della soppressione dell’altro. Per Chiara Giaccardi però l’attenzione va posta altrove: «Alla radice dell’iceberg c’è il problema di un individualismo radicale, dove l’altro o è uno strumento per il mio benessere o si trasforma in un ostacolo da eliminare. Una relazione sana è invece una relazione nella quale l’io si sbilancia verso l’altro, si mette anche un po’ tra parentesi e si libera di se stesso, crescendo e trasformandosi positivamente. Noi tutto questo lo abbiamo messo tra parentesi, lo abbiamo liquidato con il moralismo, ma non è nulla di tutto ciò. Ci realizziamo quando siamo capaci di entrare in una relazione autentica in cui ciascuno pensa prima di tutto al bene dell’altro. Chi invece è ossessionato dal proprio bene non solo non fa il bene dell’altro, ma non fa nemmeno il proprio». Ripensare al rapporto tra i generi deve coinvolgere famiglia e scuola, per vigilare «su tutti gli episodi di bullismo, di esclusione e di vulnerabilizzazione di alcuni soggetti».
E poi ci sono i media, che per Chiara Giaccardi «si sono comportati malissimo». «Il discorso di Gino Cecchettin è stato veramente un esempio su come questa vicenda potesse essere affrontata per ripensare collettivamente a cosa non va nella nostra cultura, invece i media hanno continuato a solleticare gli istinti più bassi che poi sono quelli che portano a radicalizzare questo tipo di azioni, facendoci fare dei passi indietro». Il problema dei media in Italia per Giaccardi è strutturale: «In Italia non c’è mai stato un vero pluralismo, ma un duopolio. Questo ha provocato una corsa all’audience e ha ridotto l’informazione a servizio verso un potere al quale si risponde. Salvo alcune eccezioni, in linea generale, si rilancia quello che colpisce la gente allo stomaco, come i discorsi d’odio, la logica dello schieramento, dell’insulto, della polarizzazione, che contribuiscono alla cultura decadente nella quale ci troviamo». Caso emblematico è il racconto del conflitto tra Hamas e Israele, ma anche negli accesi dibattiti, amplificati sui social, tra posizioni femministe e anti-femministe, con attacchi violenti nei confronti di Elena e Gino Cecchettin. Per Chiara Giaccardi non è nulla di nuovo: «Lo si è visto con le accuse di satanismo nei confronti di Elena Cecchettin: quando viene messa in discussione la logica dominante scatta il tentativo di neutralizzazione. Si scatenano gli insulti come atteggiamento autodifensivo che delegittima ogni critica. Gino Cecchettin poi ha parlato a partire dalla sua vita, non si può tacciare di ideologia il suo discorso: contro di lui gli insulti di un conservatorismo becero che fa gioco a un progressismo altrettanto becero che si tengono su a vicenda, evitando che si apra una via sensata per affrontare le questioni».
Perché la questione c’è e va affrontata. Anche quella del genere: «Ai cattolici la parola genere fa paura, ma la questione del genere, dell’identità e dei rapporti tra i sessi va affrontata, è importante distinguere come la società dia forma culturalmente all’identità sessuale delle persone. Questo non significa che tutto allora possa essere modificato e costruito. Il progressismo affronta il tema in una maniera a mio avviso assurda, ricorrendo al neutro: prendere le differenze e cancellarle è un cortocircuito logico che si commenta da solo». Questa estrema polarizzazione, che attraversa vecchi e nuovi media, non è altro che uno dei risvolti «mortiferi» di «una dinamica assurdamente difensiva, perché uccidi ciò che cerchi di difendere». Questi «anticorpi fortissimi della nostra cultura decadente», ammantati di individualismo, ben si vedono nella crisi demografica. E i media sono al contempo cartina al tornasole e strumento di replicazione di un malessere più grande.
Martedì 19, incontro sulla violenza di genere
Educazione affettiva e prevenzione della violenza di genere. L’incontro, aperto a tutti, si terrà martedì 19 dicembre, dalle 17.15 alle 19.15 nella sede della Facoltà teologica del Triveneto a Padova e potrà essere seguito in diretta collegandosi al link disponibile nel sito della Facoltà (www.fttr.it). Interverranno Lucia Vantini, Michela Simonetto, Davide Lago. Modera Assunta Steccanella, direttrice del ciclo di Licenza della Facoltà.
Andrea Canton