Cedere ai compromessi. Le difficoltà per i giovani a trovare lavoro a partire dai dati del Rapporto Eures
La vulnerabilità socio-economica, come evidenziano i ricercatori, influenza le scelte di formare una propria famiglia.
Trovarsi in una posizione di svantaggio. Questa è la sensazione prevalente dei giovani che provano l’esperienza dell’inserimento lavorativo: essere consapevoli di entrare in un mondo sociale nuovo e di dipendere dal giudizio e dalla valutazione di altri, vivere nell’indeterminatezza di profili occupazionali imprecisi, di stage e tirocini spesso mascherati, di contratti più o meno precari, sapere che l’altro ha il coltello dalla parte del manico.
Così è facile creare le condizioni perché i giovani cedano a compromessi. Loro per lavorare sono disponibili a mettere in soffitta i propri diritti, altro che bamboccioni, sono pronti a sacrificarsi, a inchinarsi per muovere i primi passi e arrivare finalmente a una sospirata stabilità occupazionale, se la raggiungeranno.
Lo conferma ancora un’altra ricerca. Questa volta è il Rapporto Eures: “Condizioni e prospettive occupazionali, retributive e contributive dei giovani”. Oltre il 50% dei giovani intervistati under 35 dichiara che almeno una volta ha accettato di lavorare in nero, oltre il 60% di essere stato sottopagato, ma non basta: il 37,5% ha ricevuto una retribuzione minore rispetto agli accordi e il 32,5% non ha ottenuto nulla a lavoro ultimato. Dietro questi numeri si nasconde lo sfruttamento di quanti si approfittano di una condizione di debolezza e di inesperienza. La voglia di ragazze e ragazzi di iniziare a mettersi alla prova e la loro difficoltà di vivere il tempo dell’inserimento lavorativo diventano uno specchietto per le allodole. A farne le spese saranno quanti hanno le reti familiari e di prossimità più fragili.
Ci sono conseguenze personali e sociali, perché sbagliare i primi passi, rischia di portare questi giovani dentro un circolo vizioso che potrebbe chiudere le loro prospettive future e imprigionarli in una trappola di lavori precari, sottopagati, poco tutelati.
Inoltre, si rimanda l’obiettivo di diventare autonomi dalla famiglia di origine, oltre la metà degli intervistati continua a vivere con i propri genitori. Solo il 37,9% vive da solo o con il partner. La vulnerabilità socio-economica, come evidenziano i ricercatori, influenza le scelte di formare una propria famiglia. Tra il ristretto gruppo di quanti hanno raggiunto una stabilità occupazionale il 56,3% ha creato un nuovo nucleo familiare contro il 23,5% tra quanti hanno un lavoro discontinuo.
Quest’atmosfera di incertezza incide anche sulle prospettive di futuro. Oltre il 60% dei giovani intervistati vorrebbe avere figli in futuro, se avrà “condizioni materiali più solide”, mentre circa il 32,6% dichiara di non voler diventare genitore neanche negli anni prossimi.
Ci accorgiamo ancora una volta che sfruttare i giovani diventa un boomerang sociale che si ripercuote sulla diffusione delle vulnerabilità nel presente e sul destino che si prospetta.