Adozioni internazionali. Riccardi (Aibi): “Una risposta all’inverno demografico se adeguatamente sostenute”
Nel 2010 in Italia sono stati adottati ben 4.130 bambini dalle coppie italiane. Nel 2019. il numero è sceso a 1.205. Sulla forte crisi pesano diversi fattori: i tempi lunghi, i costi, la “concorrenza” della fecondazione assistita. Ad aggravare la situazione è arrivato il Covid-19
Una risposta all’inverno demografico che affligge l’Italia potrebbe venire dall’adozione internazionale, se adeguatamente sostenuta. Ne è convinta Cristina Riccardi, vice presidente dell’Associazione Amici dei bambini (Aibi). Il nostro Paese, pur restando il secondo al mondo come numero annuale di adozioni, ha visto negli ultimi dieci anni un pesante calo. La crisi generata dal Covid-19 non può che aggravare la situazione.
Da diversi anni le adozioni internazionali sono in crisi: qual era la situazione prima del Covid e com’è adesso?
La contrazione del numero delle adozioni è iniziata dopo il 2010, quando sono stati adottati ben 4.130 bambini dalle coppie italiane. Nel 2019, il numero è sceso a 1.205. Il 2020, anno del tutto particolare, ha visto 526 coppie concludere l’adozione.
La pandemia non fa sperare che la situazione possa migliorare molto.
Sono numerose le coppie che hanno abbinamenti definiti, ma per loro è impossibile raggiungere i propri figli nei Paesi d’origine. A prescindere dalla pandemia, si è alzata anche l’età dei bimbi adottati.
Oggi la fascia più rappresentata è quella tra i 5 e i 9 anni. Questo dice due cose: che purtroppo ci sono ancora molti bambini che rimangono in istituto per molti anni e che è necessario che le coppie siano pronte ad accogliere bimbi grandicelli.
La pandemia, rallentando le adozioni, potrebbe incidere ulteriormente su questo dato.
Una volta l’Italia era un Paese dove si registravano tante adozioni: cos’è cambiato? Le famiglie si sono chiuse all’accoglienza di un figlio?
Nonostante il grande calo che si è registrato l’Italia continua ad essere il secondo Paese al mondo per numero di minori che annualmente vengono adottati.
Ciò che rende difficile la realizzazione del desiderio adottivo è la situazione in generale: stavamo alzando il capo dalla crisi economica e ci siamo ritrovati ad affrontare la pandemia.
Certo, non si deve sottovalutare l’effetto dell’evoluzione scientifica, culturale e normativa, rispetto alla procreazione medicalmente assistita.
Quali sono le difficoltà che incontra una famiglia che si rivolge oggi all’adozione internazionale?
Ciò che le famiglie maggiormente lamentano sono i tempi lunghi che riscontrano in tutte le fasi del percorso.
Il tempo medio per ottenere il decreto dal Tribunale per i minorenni (Tm) è attorno all’anno, poi qualche mese per decidere a quale ente affidare l’incarico per la gestione della procedura, il tempo dell’attesa dell’abbinamento che è difficilmente quantificabile e che dipende da tanti fattori, sia riguardanti la situazione del Paese, sia riguardante le caratteristiche della coppia, e infine la permanenza nel Paese estero che può essere anche di alcuni mesi.
Gli ultimi dati parlano di un’attesa dall’incarico all’ente all’arrivo in Italia di circa 3 anni che sommati al periodo per l’ottenimento del decreto e all’individuazione dell’ente portano il tempo totale a circa 4 anni.
Anche il percorso per l’idoneità (colloqui con i servizi e Tm) spesso è vissuto come una grande fatica, le coppie dicono di sentirsi come in un percorso ad ostacoli. Infine, il costo dell’adozione internazionale è decisamente demotivante.
La legge che regola l’adozione internazionale è ancora valida o andrebbe aggiornata?
La legge di riferimento per l’adozione è la 184/83, per l’adozione internazionale il riferimento legislativo è la 476/98 che ha ratificato la Convenzione de L’Aja; da questa sono quindi passati ben 23 anni; il mondo è cambiato e l’adozione internazionale anche.
È una buona legge ma ci sono passaggi che andrebbero modificati o semplicemente aggiornati alla luce dei cambiamenti sociali avvenuti.
Avete dati di quante famiglie vorrebbero adottare ma sono frenate dalle difficoltà?
Non abbiamo dati in tal senso, le nostre sono deduzioni che derivano dalle nostre attività.
Quello che riscontriamo, partecipando in alcune Regioni assieme ai Servizi del territorio alla parte informativa/formativa delle coppie, è che al termine del corso alcune, dopo essere venute a conoscenza della complessità dell’iter, decidono di non proseguire;
inoltre ai percorsi formativi per l’affido familiare che proponiamo spesso incontriamo coppie che pensano di ottenere così un figlio in modo più semplice dopo una battuta d’arresto nel percorso adottivo. Ma
l’affido è tutt’altra cosa, non può essere la scorciatoia all’adozione e nemmeno un ripiego.
Come Aibi cosa proponete per rilanciare le adozioni internazionali e dare una famiglia a bambini che non ne hanno?
Il rilancio delle adozioni internazionali passa indubbiamente da una maggiore relazione con le Autorità dei Paesi di provenienza dei bambini. Per lungo tempo i rapporti tra la Commissione per le adozioni internazionali (Cai) e i vari Paesi sono stati praticamente nulli; ora si intravede una ripresa che potrebbe portare alla stipula di accordi bilaterali che faciliterebbero le procedure rendendole più certe e trasparenti.
Sul fronte interno invece, una proposta che Aibi porta avanti da anni è legata alla gratuità dell’adozione internazionale: è l’unica forma di genitorialità che richiede l’esborso di cifre importanti da parte di chi desidera diventare genitore. Questo è discriminatorio.
Occorrono poi tempi certi per l’ottenimento dell’idoneità e una maggior formazione dei servizi competenti rispetto ai mutamenti dell’adozione internazionale. L’idoneità dovrebbe essere svincolata dai Tm: in Europa solo il Belgio, oltre all’Italia, prevede il decreto di un giudice. Occorre maggior impegno nel formare e accompagnare le coppie in un percorso di conoscenza e consapevolezza con servizi competenti. Per l’idoneità basterebbe quindi solo un atto amministrativo più snello e meno giudicante.
In questo momento in cui si parla di inverno demografico nel nostro Paese, anche l’adozione internazionale potrebbe contribuire ad invertire la tendenza negativa delle nascite se fosse sostenuta.
Nella nostra società è riconosciuto il diritto a essere figlio e, quindi, a vivere e crescere in una famiglia?
La centralità del minore dovrebbe essere il cuore sia dell’adozione, il diritto è del bambino ad avere una famiglia che lo cresca con amore; le famiglie sono le risorse affinché questo possa avvenire, purtroppo però ancora troppo spesso questo valore è ribaltato ed è la coppia che pensa di avere il diritto al figlio su misura.
D’altro canto, la stessa Convenzione dell’Onu sui diritti dell’infanzia non prevede esplicitamente il diritto alla famiglia, motivo per cui Unicef non ha mai redatto un report sui minori abbandonati.