Valencia, città aperta. Il modello Caritas di integrazione sociale anche per i migranti dell’Aquarius
Valencia ha visto sbarcare il 17 giugno i 630 migranti della nave Aquarius grazie alla disponibilità del governo spagnolo, dopo che il Viminale aveva negato l’approdo 8 giorni prima. Ora i migranti sono nei centri della Croce Rossa, sottoposti a visite mediche e procedure di identificazione. L’arcidiocesi di Valencia ha messo a disposizione tutte le sue risorse – centri, servizi, famiglie, volontari – per accogliere nella fase successiva alla prima accoglienza.
(da Valencia) I larghi viali alberati, il fiume, il porto, la città vecchia di Valencia scorrono sotto gli occhi del visitatore mentre dalle news radiofoniche spagnole arriva l’eco delle ultime notizie dall’Italia. Un commentatore parla di rischio di leggi razziali e ritorno alla barbarie del passato. Intanto i murales dell’antico barrio del Carmen raccontano di morti in mare, di bambini salvati dalle onde. Valencia, città aperta, ha visto sbarcare domenica scorsa i 630 migranti della nave Aquarius della Ong Sos Mediterranée grazie alla disponibilità del governo spagnolo, dopo che il Viminale aveva negato l’approdo 8 giorni prima. Ora i migranti sono nei centri della Croce Rossa, sottoposti a visite mediche e procedure di identificazione. I minori sono stati trasferiti ad Alicante. L’arcidiocesi di Valencia ha messo a disposizione tutte le sue risorse – centri, servizi, famiglie, volontari – per accogliere “senza limiti” nella fase successiva alla prima accoglienza gestita dalle istituzioni. C’è riservatezza alla Caritas di Valencia sui luoghi dove verranno ospitate le persone, per tutelarne la privacy e per motivi di sicurezza. L’esperienza di solidarietà è tanta e di antica tradizione: con i suoi 6.000 volontari è la più grande Caritas diocesana in Spagna. Qui è stato fondato il primo orfanotrofio del mondo e nel ‘400 il primo centro per persone con disagio mentale. La patrona della città, non a caso, è la Virgen de los desemparados, ossia delle persone senza fissa dimora. E chi più manca di un alloggio se non le persone costrette a migrare? Solamente lo scorso anno sono stati assistiti 25.000 migranti, anche se in transito o per brevi periodi, attraverso 439 Caritas parrocchiali, 69 collegi scolastici diocesani, case famiglia e tanti servizi e progetti innovativi. Il 48% degli “utenti” Caritas sono stranieri. In occasione dell’arrivo dei migranti dell’Aquarius si è deciso di ampliare anche il personale e le abitazioni da mettere a disposizione. Ma la vera forza qui è il modello di integrazione sociale, tutto orientato a rendere le persone autonome.
Un percorso verso l’integrazione sociale. “Assistere le persone per noi significa curare tutte le dimensioni: accompagnamento, vicinanza, consulenza giuridica, orientamento al lavoro, assistenza materiale, umana e spirituale”, precisa al Sir Nacho Grande, direttore della Caritas di Valencia. Al momento hanno case-alloggio dove ospitano 38 richiedenti asilo e altri 45 migranti sin papeles, senza documenti. “Cerchiamo di aiutarli a regolarizzare la loro posizione”. La maggioranza partono dal Marocco e dall’Algeria e attraversano lo stretto di Gibilterra con imbarcazioni di fortuna. Approdano alla cosiddetta “frontiera Sud”, le coste andaluse, poi si muovono verso est attraverso altre città spagnole fino ad arrivare a Valencia. Altri arrivano da nord. Nei primi 6 mesi del 2018 ne sono arrivati più di 14.000, il 50% in più dello scorso anno (dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati – Unhcr), segno che le rotte stanno di nuovo cambiando. C’è però anche una migrazione al contrario, con migranti dall’America Latina e dai Paesi dell’Est Europa che tornano a casa perché non trovano più lavoro nella raccolta delle arance o nei servizi.
Pionieri nella pratica della carità. “La diocesi di Valencia è stata sempre pioniera e creativa nella pratica della carità – spiega il direttore Caritas -. È una vocazione unica all’interno della Spagna, e segna in maniera molto chiara la linea di azione della nostra Chiesa: l’attenzione ai senza dimora, ossia a chi è escluso da qualsiasi tipo di aiuto. In questo caso i migranti, che arrivano nella nostra terra e non hanno assolutamente nulla, sono una priorità”. Tutti sono rimasti, comunque sia, sorpresi dalla incredibile gara di generosità scattata dopo aver saputo che la città avrebbe accolto i migranti dell’Aquarius. I centralini diocesani i primi giorni erano bollenti. “Certo, ci sono settori della popolazione che hanno pregiudizi nei confronti dei migranti – dice -, un po’ a causa della crisi economica che ha colpito la Spagna. Però, in genere la solidarietà e l’accoglienza sono una costante. Nonostante il 33% della popolazione viva in condizione di povertà relativa cronicizzata, non ci sono grandi conflitti tra poveri”.
Il Centro Mambré, una strada verso l’autonomia. Uno dei servizi che verranno in aiuto dei migranti dell’Aquarius è il Centro Mambré, nel quartiere Torre Fiel, una zona tranquilla e popolare. È attivo da una trentina d’anni ma la sede attuale ha solo un anno di vita e lo dimostra. Locali ampi con spazi a vista, ordinati laboratori di elettricità, carpenteria, giardinaggio, riparazioni di biciclette per costruire “abilità pre-lavorative”, orti curati, arredi in riciclo creativo. E soprattutto, all’ingresso, una grande cartina geografica del mondo dove si chiede agli ospiti migranti, come prima cosa, di tracciare la linea del loro viaggio difficile e spesso drammatico. È un centro diurno e riceve ogni giorno 80/90 persone senza dimora, moltissimi sono stranieri, una cinquantina i volontari. Dispone anche di 5 case famiglia, ciascuna ospita 6/7 persone, sole o famiglie intere. C’è poi tutto un capitolo dedicato alle donne vittime di tratta, il progetto “Jere-Jere”, che ne accompagna al momento circa 120, in maggioranza nigeriane e romene. A Valencia, terza città spagnola con circa 1 milione e 700mila abitanti, sono stimate almeno un migliaio di persone che vivono in strada o in abitazioni precarie. “Sono quasi tutte persone sole, senza reti familiari e sociali, che entrano in un processo di esclusione sociale perché hanno diversi problemi – spiega Ana Lopez, coordinatrice dell’area inclusione del Centro Mambré -. Costruiamo percorsi personalizzati per aiutarli a diventare autonomi e ad integrarsi nella nostra società. Cerchiamo di riprodurre qui il contesto lavorativo che troveranno e di aiutarli a costruire abilità relazionali, prima di tutto la conoscenza della lingua spagnola. Facilitiamo anche l’accesso ai servizi sanitari”.
Per i migranti dell’Aquarius 45 giorni di permesso: “Troppo pochi”. In questi giorni l’attenzione organizzativa è molto centrata sui migranti dell’Aquarius: “Stiamo pensando di incrementare le risorse umane e materiali. Vogliamo aprire altre due case famiglia per ospitarli”. Le operatrici del centro non nascondono però le perplessità sulla tipologia di permesso umanitario che sarà concesso dal governo spagnolo, di soli 45 giorni. “Il periodo di accoglienza per i richiedenti asilo è già di soli 6 mesi ma per diventare autonome le persone hanno bisogno almeno di uno o due anni di tempo – sottolinea Lopez -. 45 giorni sono pochi: c’è il rischio concreto che le persone, una volta finita l’accoglienza, finiscano a dormire in strada, nei parchi o vicino al fiume, in situazione di irregolarità. Qui l’estate è lunga e l’inverno arriva tardi. Ma i bisogni rimangono”.