Vaccini anti Covid-19. Scaccabarozzi (Farmindustria): “È corsa contro il tempo per la produzione”
Ad oggi nel nostro Paese sono oltre 2.770mila le dosi di vaccini anti-Covid somministrate, con oltre 1.240mila persone vaccinate con due dosi. “La corsa contro il tempo per arrivare ai vaccini è stata vinta. Ora si corre per averne una produzione adeguata”. Parla il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi. "Il vaccino anti-Covid è un prodotto biotecnologico estremamente complesso" e il brevetto "non può essere abolito. È una garanzia senza la quale nessuno farebbe ricerca". In dirittura d'arrivo il vaccino Johnson & Johnson che sembra funzionare anche sulle varianti
Ad oggi nel nostro Paese sono oltre 2.770mila le dosi di vaccini anti-Covid somministrate, con oltre 1.240mila persone vaccinate con due dosi, il dato più alto nell’Unione europea. Il 9 febbraio è stata pubblicata la nuova versione del piano vaccinale che conferma le sei tappe in ordine decrescente di rischio. Si partirà dai 2 milioni di “estremamente vulnerabili”, compresi in 12 “aree di patologia” (tra cui anche disabilità fisica e intellettiva) per concludere con i 29 milioni di persone tra 16 e 54 anni. Ieri ha preso il via anche in Italia la somministrazione del vaccino di AstraZeneca. Intanto sono attesi un aumento delle forniture complessive all’Unione europea e probabilmente una rimodulazione delle quote nazionali – oggi all’Italia spetta il 13,46% – mentre gli esperti sottolineano la necessità di accelerare la campagna vaccinale, ma c’è il collo di bottiglia costituito dalla disponibilità reale delle dosi.
Il 10 febbraio la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha espresso apprezzamento per l’andamento della campagna vaccinale nel nostro Paese ma ha ammesso: “Abbiamo sottovalutato la difficoltà della produzione di massa… In un certo senso, la scienza ha superato l’industria”. Concorda Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria e e amministratore delegato di Janssen Italia, gruppo Johnson & Johnson, che dice al Sir:
“Fortunatamente la corsa contro il tempo per arrivare ai vaccini è stata vinta. Ora si corre contro il tempo per averne una produzione adeguata”.
Presidente, i vaccini sono stati sviluppati in tempi rapidissimi. E’ possibile aumentarne la produzione industriale?
La scoperta e lo sviluppo dei vaccini sono il frutto della cooperazione della comunità scientifica globale e dell’industria mondiale. Un anno fa, già da gennaio, la Cina aveva messo a disposizione della comunità scientifica la sequenza del Sars-Cov-2. Partendo da lì si è fatto davvero in fretta, considerando che di norma per un vaccino ci vogliono diversi anni. La scienza ha corso molto più dell’industria, ma un vaccino non è un farmaco basato su sintesi chimica, del quale in tempi brevissimi si possono produrre miliardi di unità. Il vaccino anti Covid-19 è un prodotto biotecnologico estremamente complesso, il cui ciclo di produzione prevede più fasi, dura diversi mesi e deve essere effettuato in impianti dotati di bioreattori all’interno dei quali immettere il principio attivo che deve essere costruito con la tecnologia mRNA o del vettore virale non replicativo. Se per far fermentare la birra ci vogliono un paio di mesi, si figuri quanto tempo ci vuole per un vaccino. La produzione è partita ma non può essere già a regime. Va sottolineato inoltre chese abbiamo i vaccini nel momento in cui l’autorizzazione è arrivata, è perché molte aziende si sono assunte il rischio di produrli in anticipo.
Tra sei mesi – un anno, le industrie saranno probabilmente a regime ma occorre tenere conto anche di una domanda mondiale di diversi miliardi di dosi.
Come si colloca l’industria farmaceutica italiana nel panorama europeo?
Al primo posto per produzione, ma non sempre ci sono bioreattori disponibili. Molte aziende hanno fatto scouting a livello mondiale per cercare industrie compatibili con la produzione di vaccini. Alcune fasi del processo potranno essere eseguite anche in Italia. Ad esempio un impianto di Anagni è in grado di fare l’infialamento, che sembra un processo banale ma deve essere effettuato a determinate condizioni. Altre aziende italiane si sono proposte per effettuare alcune parti della produzione. Vi sono contatti in corso.
Per accelerare i tempi potrebbe essere utile liberare i brevetti?
Non servirebbe. Togliere il brevetto non significherebbe avere i vaccini domani. Non tutte le aziende farmaceutiche dispongono dei bioreattori indispensabili, inoltre il brevetto è sinonimo di ricerca: non può essere abolito perché la ricerca richiede investimenti di tempo, persone, risorse economiche. Il brevetto è una garanzia senza la quale nessuno farebbe ricerca.
Alcune aziende – AstraZeneca e Johnson & Johnson – hanno messo a disposizione i vaccini in maniera non profit, praticamente a prezzo di costo:
prodotti nel mondo occidentale, hanno il prezzo di un pacchetto di caramelle.
Nei giorni scorsi c’è stata un po’ di maretta sui contratti con l’Unione europea.
La Commissione europea ha fatto una cosa straordinaria e senza precedenti: una negoziazione centrale con contratti di prelazione con sei aziende per un miliardo e mezzo di vaccini per garantirne una distribuzione equa ed evitarne l’accaparramento da parte di alcuni Paesi rispetto ad altri. Sono grato al ministro Speranza per essere stato, con i suoi omologhi francese, tedesco e olandese, uno dei fautori di questa coalizione che consente accesso equo in tutti i Paesi europei.
Del miliardo e mezzo di dosi già prenotate, e degli ulteriori 700 milioni, all’Italia spetta il 13,46%.
Contratti firmati prima ancora che la ricerca fosse conclusa, prima di sapere se sarebbe andata a buon fine e senza conoscere i tempi di autorizzazione. Nei contratti si parla di opzione su un miliardo e mezzo di vaccini e di “our best effort”, ossia di impegno da parte delle aziende a fare tutto il possibile per fornirli, ma non sono indicate date di consegna. La Commissione europea lo ha specificato: le aziende stanno facendo il massimo ma non è possibile fare una previsione.
Oltre a quelli già in uso, dovrebbe arrivare a breve il vaccino Johnson & Johnson per il quale è stata richiesta alla Fda l’autorizzazione in fase di emergenza. Di che tipologia di vaccino si tratta e quali potrebbero essere i tempi?
Abbiamo completato la fase III su quasi 44mila persone in diverse parti del mondo, dagli Usa all’America latina al Sudafrica, e sembra funzionare anche sulle varianti. Si tratta di un vaccino monodose a vettore virale, facile da conservare: a 2/8 gradi rimane stabile per tre mesi, a -20 gradi per due anni. I dati – copertura del 100% contro il rischio di ospedalizzazione o morte, dell’85% contro le forme gravi di Covid – sono stati resi pubblici circa 10 giorni fa. L’autorizzazione della Fda dovrebbe arrivare entro febbraio; a giorni sottoporremo il dossier anche all’Ema. Ma la submission all’Agenzia europea è iniziata già da tempo con la procedura di rolling review: man mano che sono arrivati i dati di fase I e II sono stati depositatiti all’Ema. Ora consegneremo i dati di fase III e se tutto andrà bene ci aspettiamo un’approvazione entro fine marzo-primi aprile. Avere un vaccino in più è importante: più ne avremo, prima riusciremo a vaccinare il maggior numero di persone. I dati ci portano ad essere ottimisti, ma naturalmente un candidato vaccino diventa vaccino solo con l’approvazione dell’agenzia regolatoria europea.