Un appello dallo Yemen: “i bambini hanno bisogno di medicine, cibo, educazione”
Da Sana'a parla Chiara Moroni, operatrice umanitaria di Save the children. In Yemen si occupa di educazione, in team con una quarantina di operatori sparsi in tutto il Paese: "La guerra ha causato violenze e menomazioni, con un forte impatto psicologico, difficoltà ad interagire con gli altri, tristezza e depressione. Investiamo sulla scuola".
I bambini dello Yemen “hanno urgente bisogno di medicine, cibo, educazione. La guerra ha causato violenze e menomazioni, con un forte impatto psicologico, difficoltà ad interagire con gli altri, tristezza e depressione”. A parlare al Sir da Sana’a, capitale dello Yemen, è Chiara Moroni, 33 anni, bergamasca, operatrice umanitaria di Save the children. Prima di arrivare in Yemen ha lavorato in “zone calde”, come Iraq, Afghanistan, Palestina. Dopo 5 anni e mezzo di conflitto lo Yemen è un Paese distrutto, con oltre 100 mila vittime, tra cui più di 12 mila civili.
In prima linea per la protezione dei minori. “Voglio sfatare il mito che siamo una sorta di missionari, più coraggiosi degli altri – ci tiene a precisare Chiara -. Magari oggi ci vuole più coraggio a lavorare in un reparto Covid di Bergamo. Anche se non è semplice vivere in zone di conflitto, per me è importante avere passione per ciò che si fa. La protezione dei minori è ciò che più mi motiva a stare in questi Paesi”. Con Save the children si occupa di educazione, in team con una quarantina di operatori (yemeniti ed italiani espatriati) sparsi in tutto il Paese. Raggiungono e aiutano un centinaio di scuole. Chiara ha trascorso i primi mesi della sua trasferta ad Aden, ora si è spostata nella millenaria e affascinante capitale Sana’a, dagli alti edifici in fango. Qui non piovono bombe o non si verificano scontri tra le due fazioni – i ribelli houthi e la coalizione governativa a guida saudita – ma l’impatto del conflitto si avverte comunque.
Tra conflitto e pandemia. Nel quotidiano c’è il disagio della carenza di energia elettrica e acqua calda, nulla a confronto di una situazione con l’80% degli yemeniti in povertà estrema per il tracollo dell’economia, l’inflazione alta e ora anche la pandemia. Le cifre dei contagi non sono alte perché vengono effettuati pochi test. Visto che la maggioranza della popolazione vive in contesti rurali i messaggi di sensibilizzazione per le misure di prevenzione vengono diffusi via radio, con megafoni sulle auto, canzoni per bambini. Gli avvertimenti risuonano perfino dall’alto dei minareti delle mosche: tutti i leader musulmani sono stati coinvolti.
La crisi umanitaria. Nelle altre zone del Paese la situazione è più dura, soprattutto a ridosso delle linee del fronte, con raid aerei e violenze. Povertà e carestia, malattie (c’è anche colera, dengue, malaria, chikungunya), strutture sanitarie al collasso, 2000 scuole colpite dai bombardamenti, di cui 250 distrutte e 1500 danneggiate, invasione di locuste e inondazioni improvvise. La situazione in Yemen è stata definita dall’Onu
“la peggiore crisi umanitaria del mondo” con oltre 24 milioni di persone, di cui la metà bambini, che hanno bisogno di una qualche forma di assistenza e protezione umanitaria.
Nonostante il contesto sia così grave, il piano di risposta umanitaria delle Nazioni Unite per il 2020 è stato finanziato solo al 44%. E sui media c’è indifferenza pressoché totale.
L’appello del Papa. Papa Francesco ne ha parlato durante l’Angelus del 1° gennaio pregando per “trovare soluzioni che permettano il ritorno della pace per quelle martoriate popolazioni” e per “i bambini dello Yemen, senza educazione, senza medicine, affamati”. “E’ stata una piacevole sorpresa vedere che almeno il Papa ha dato attenzione al Paese”, ammette la cooperante:
“Ora il conflitto ha cambiato forma, è diventato a bassa intensità, ma c’è ancora violenza e la crisi è molto complessa, con tanti interessi in gioco”.
La sfida dell’educazione. Oltre agli interventi di emergenza e salvavita – soprattutto cibo e sanità – portati avanti dalle tante Ong che operano in Yemen, la sfida dell’educazione è prioritaria, “perché si sta investendo sul futuro del Paese”. Chiara racconta di quanto sia emozionante andare nei campi per sfollati e constatare la gioia dei bambini quando ricevono il materiale scolastico (quaderni, matite, penne, zainetti). Oppure la resilienza degli insegnanti e dei genitori, che si mettono a disposizione per supportare la didattica, per i compiti, o per attuare il distanziamento e la turnazione degli alunni, in classi a volte di 80 bambini.
Speranza e resilienza. La scuola si è fermata per alcuni mesi durante il lockdown ma ad ottobre è ripresa in presenza. Tantissimi bambini vogliono iscriversi o frequentare corsi professionali per imparare un mestiere: “segno che il Paese ha voglia di andare avanti”, nonostante 2 milioni di bambini fossero fuori dal sistema scolastico già prima del Covid-19. “E’ bellissimo vedere l’impegno e il coinvolgimento delle comunità – dice -. O la contentezza di presidi e insegnanti quando li aiutiamo a riportare l’energia elettrica, l’acqua e i servizi igienici nelle scuole, a tornare in classe con mascherine e protocolli di sicurezza. Per loro è una differenza enorme”.
Poi c’è il drammatico capitolo nutrizione: circa 325.000 bambini sotto i 5 anni soffrono di malnutrizione acuta grave. In alcune cliniche in cui opera Save the Children, sia nel nord che nel sud del Paese, il numero di bambini malnutriti che si sono rivolti a cure salvavita è aumentato del 60% tra fine 2019 e luglio 2020. Un chiaro segnale del deterioramento della situazione alimentare: la popolazione non riesce più a permettersi il cibo a causa dell’aumento dei prezzi. Secondo le agenzie Onu il numero di persone che vive questo livello di catastrofica insicurezza alimentare potrebbe quasi triplicare, dalle 16.500 persone di oggi alle 47.000 persone tra gennaio e giugno 2021. Da una situazione così complessa e difficile se ne esce solo con la fine del conflitto e la pace. Da qui l’appello di Save the children per un