Terremoto 4.6 nel Maceratese. La situazione dopo la scossa
Alle 5.11 di ieri, martedì 10 aprile, con una nuova scossa di magnitudo 4.6 con epicentro a Muccia, torna a risuonare l'appello della gente che, da quasi due anni, non riesce più psicologicamente a sopportare uno sciame sismico che non accenna ad arrestarsi.
“Non ne possiamo più, è un incubo incessante”. “Dormire con quell’ansia mai sopita e svegliarsi di colpo con ‘quel’ boato”. “Vogliamo rimanere qui ma possiamo considerarci al sicuro?”. Il “refrain” delle popolazioni del Maceratese colpite dal terremoto, è lo stesso, drammatico e ormai costante. E alle 5.11 di ieri, martedì 10 aprile, con una nuova scossa di magnitudo 4.6 con epicentro a Muccia, torna a risuonare l’appello della gente che, da quasi due anni, non riesce più psicologicamente a sopportare uno sciame sismico che non cenna ad arrestarsi. Anzi: se per il terremoto de L’Aquila ci sono voluti tre anni per tornare alla normalità, è assai probabile, come dichiarato dal presidente dell’Ingv, Carlo Doglioni, che la sequenza attivatasi nel Centro Italia nel 2016 “duri non meno di un anno”. I danni più consistenti stavolta si sono registrati a Pieve Torina, dove sei famiglie sono state evacuate, assieme ad un’altra di Caldarola. In tutto, gli sfollati ammontano a venti: un numero piccolo, ma troppo grande proporzionalmente a questo fazzoletto di terra quasi sconosciuto al mondo mediatico fino a quel maledetto 24 agosto 2016, data in cui il terremoto “bianco e silente”, che ha seminato morte e distruzione ad Amatrice, ha aggredito con violenza anche le Marche, in particolare l’entroterra maceratese, lasciando in amara dote ancora 30mila persone prive di un’abitazione. Una zona complessa, una provincia distribuita su tre diocesi: il cuore dei Sibillini che pulsa in borghi minuscoli eppure robusti e intrisi di quella caparbietà che solo la gente di montagna possiede. Proseguono i sopralluoghi per verificare la tenuta delle strutture provvisorie ma ciò che rimane solida è la paura di chi combatte, quotidianamente, con una ricostruzione intricata e lenta, alla ricerca di una normalità difficile da riconquistare.
Una Chiesa vicina con fede alla gente. La dinamica è la solita, e sono in tanti, più o meno vicini all’epicentro, a riviverla con la medesima angoscia. Prima “quel” boato premonitore, come un colpo di vento impetuoso, quindi la “botta”, simile ad una bomba, inequivocabile e terribile. Fratello terremoto ribussa alle case dei marchigiani, e da quelle stesse case, precarie, li caccia fuori, disorientati, sfiancati dalle scosse che da una settimana circa hanno ripreso a farsi sentire nitidamente. Diverse sono le voci che arrivano dal villaggio Sae Costafiore, nei pressi di Muccia, inaugurato nell’ottobre 2017.
Il movimento tellurico, di tipo sussultorio, si preannuncia all’improvviso, innescando un clima di incertezza, angoscia e abbattimento morale.
“Io non voglio abbandonare la mia Pieve Torina, intendo rimanere nella terra in cui sono nata – racconta in lacrime una residente, attualmente ospitata in una delle casette costruite dopo il sisma – ma la paura stamattina è stata davvero tanta. Siamo ormai senza parole e l’unico appello che possiamo rivolgere con tutto il cuore è: dateci un tetto sicuro in cui vivere”. Parole accorate da parte di una comunità che sta facendo i conti con le conseguenze, fisiche ed economiche, pesantissime da affrontare. La Chiesa locale continua a farsi portavoce delle priorità vissute sulla pelle da quanti, coraggiosamente, hanno deciso di non abbandonare i luoghi d’origine, ma la strada è ancora in salita. Don Gianni Fabrizi dal novembre 1997 è parroco qui, nella chiesa Santa Maria di Varano, una cappella cimiteriale che ricorda gli antichi battisteri, eretta nel XVI secolo appena fuori il centro abitato di Muccia. Fu proprio il sisma di oltre vent’anni fa a decretare l’inagibilità dell’edificio (che attualmente ospita un museo archeologico) e lo stesso don Fabrizi vi ha potuto celebrare messa una sola volta. “La chiesa era già chiusa al culto – confida il sacerdote, attualmente ospitato presso l’eremo Beato Rizzerio -, e purtroppo non siamo riusciti a riaprirla. Dal momento che le casette Sae si trovano proprio lì vicino avevo chiesto la possibilità di utilizzare la cappella per le funzioni religiose ma la legge lo impedisce. Oggi a maggior ragione, visto che l’ultima potente scossa ha fatto crollare il campanile del Seicento, logorando ancor di più gli stati d’animo della popolazione locale”.
Il parroco ben conosce la situazione della sua gente ma, avendo affrontato anche il sisma in Friuli nel 1976, non si lascia abbattere e mostra tutta la sua vicinanza, umana e spirituale. “L’esperienza che ho vissuto, mio malgrado, mi insegna che il terremoto un’esperienza faticosa, dolorosa, è incontrollabile, difficile da gestire ma il messaggio che vorrei trasmettere è che la fede in Dio non va dispersa, specialmente nei momenti complicati come questo. Il Signore ci sta mettendo alla prova ma ci ha lasciati in vita e, nonostante la delicata circostanza, non dobbiamo smettere di nutrire fiducia, affidandoci specialmente alla Vergine Maria da cui la chiesetta prende il nome”. Quella stessa Madonna raffigurata nell’affresco di Andrea De Magistris custodito in questa nicchia di devozione che continua comunque a rappresentare un “crocevia” di autentica devozione.
Parola d’ordine: presenza. Fin dalle prime ore del mattino sono stati diversi i rappresentanti politici e le autorità preposte che si sono confrontate nell’area colpita dal sisma per tracciare il quadro della situazione e riattivando immediatamente la macchina organizzativa dell’emergenza. In un frangente non certo facile, in mancanza di un Governo operativo in carica e con le problematiche legate, principalmente, alle Soluzioni abitative d’emergenza (Sae) compromesse dall’ultima scossa e alle abitazioni gravemente lesionate un anno e mezzo fa. La parola d’ordine per tutti è una soltanto: presenza. Da parte dello Stato, certo, reclamata incessantemente fin da quell’indimenticato 24 agosto 2016. Ma anche, e soprattutto, da chi in quei luoghi è nato e intende, caparbiamente, rimanere a vivere. Raggiunto telefonicamente dal Sir, il capo del Dipartimento della Protezione civile, Angelo Borrelli, illustra lo stato dei fatti dopo il vertice convocato stamane. “Come si sa, la scossa si inserisce in una lunga sequenza in atto da mesi e destinata a perdurare.
Abbiamo appena fatto il punto con i sindaci per verificare l’entità dei danni, concentrati nello specifico a Pieve Torina. Si è già provveduto a rimediare ai disagi intercorsi in due delle casette, dove i pensili non erano stati adeguatamente aggangiati, e sul posto sono già stati individuati dal Comune gli alloggi per i sei nuclei familiari sfollati, salvaguardando chiaramente l’incolumità delle persone.
Che ci sia apprensione in generale è naturale, ma ciò che conta è sapere in che case si vive. Colgo l’occasione per chiarire che nelle casette si può stare tranquilli, mentre nelle altre abitazioni bisogna verificare le condizione di agibilità”. In primis, quindi, l’attenzione sul fronte umano, come dichiara il sindaco di Pieve Torina, Alessandro Gentilucci: “Ciò che maggiormente ci preme ora è garantire assistenza alle famiglie evacuate trovando loro un adeguato alloggio. Le squadre del Comune sono comunque all’opera per effettuare le verifiche necessarie sulle poche case rimaste agibili: è saltato un acquedotto ma stiamo facendo il possibile per garantirne il ripristino, monitorando costantemente il tutto”. Della “necessità di attivare gli strumenti idonei per garantire la sicurezza” ha parlato anche il governatore della Regione Marche, Luca Ceriscioli, sottolineando un dato non certo trascurabile: “Nei territori di Muccia, Ussita, Pieve Torina e Visso la distruzione degli edifici è pari al 90%, ed è fondamentale sostenere le popolazioni locali evitando il rischio di dispersione e allontanamento delle comunità”. Ottimista la commissaria per la ricostruzione Paola De Micheli, che non nasconde le criticità emerse ma invita a non lasciarsi sopraffare dal “panico”. “Siamo consapevoli che le norme devono rispondere ai criteri di praticità ed efficienza, mirando ad un unico obiettivo: permettere alle persone di rimanere nei luoghi di origine, sebbene qui la terra ogni giorno non smette di tremare alimentando paura e disagi”. Ancora più incalzante il neo senatore maceratese Giuliano Pazzaglini, che da sindaco di Visso ben conosce le prospettive che si profilano. “Per noi parlamentari è ovviamente ancora tutto indeterminato, ma personalmente ho chiesto risposte certe su problematiche in cui imperano incertezza e tempi troppo lunghi nello smaltimento delle pratiche burocratiche. Il sisma di oggi – dichiara Pazzaglini al Sir – aveva il doppio della capacità distruttiva del terremoto che ha colpito Ischia. Di fronte alle competenze adeguate e mi auguro in piena comunione d’intenti, ho ribadito che vanno riconsiderate prontamente le ordinanze, con una rivisitazione delle difformità, mi riferisco a piccoli abusi, che tuttavia rischiano poi di bloccare le procedure: possono sembrare minuzie irrilevanti, ma agli occhi dei cittadini sono passi importanti, segnali decisivi e non scontati che muovono verso la giusta direzione. La gente che qui intende continuare ad abitare di questo ha bisogno: di attenzione concreta, senza trascurare lo stato d’animo che in quasi due anni è fortemente compromesso da uno stress mentale non indifferente”.