Tempi lunghi e poche decisioni, la riforma dell’asilo non ha migliorato il sistema
Dopo un anno, il bilancio dei decreti Minniti-Orlando realizzato da Matteo Villa, ricercatore di Ispi online. “Meno tutele per i richiedenti asilo, ma nessun miglioramento delle commissioni: le domande pendenti restano le stesse degli ultimi anni e i tempi di attesa si attestano ancora a un anno e mezzo”
ROMA - Erano stati presentati dal presidente del Consiglio Paolo Gentiloni come uno degli strumenti necessari per “attrezzare il paese a nuove sfide, innanzitutto, per rendere più rapidi i processi di riconoscimento di asilo per i rifugiati”. Ma fin dalll’inizio i decreti Minniti-Orlando sull’immigrazione hanno raccolto intorno a sé un coro di critiche dal mondo delle organizzazioni umanitarie che ne contestavano la legittimità giuridica. A essere preso di mira è stato, in particolare, il decreto n. 13 del 17 febbraio del 2017, che nei fatti riforma il sistema d’asilo in Italia, eliminando un grado di giudizio (l’appello). L’obiettivo congiunto del ministro dell’Interno e di quello della Giustizia era, infatti, snellire le procedure delle richieste di protezione internazionale per equiparare il nostro paese agli altri Stati europei. Ma a distanza di oltre un anno qual è l’esito della riforma Minniti-Orlando? I tempi si sono ridotti e le risposte alla domanda di protezione hanno avuto un’improvvisa accelerata?
A rispondere a questa domanda è Matteo Villa, ricercatore di Ispi online , che in un thread su Twitter anticipa alcuni contenuti di un rapporto dell’Istituto di ricerca, che sarà pubblicato a metà aprile. “Nei fatti a febbraio 2017 i decreti legge Minniti-Orlando hanno abbassato le tutele per i richiedenti asilo ma non hanno aumentato la capacità del sistema italiano di elaborare le richieste di protezione internazionale – spiega Villa a Redattore sociale -. Nello specifico, per capire se i decantati rafforzamenti del sistema avessero avuto qualche esito ho preso in considerazione un periodo di tempo molto ampio, dal 2010 ad oggi, guardando solo alle decisioni di prima istanza, quelle cioè su cui si possono avere dati definitivi Eurostat. E che rispecchiano comunque nell’80 per cento dei casi anche le decisioni finali – spiega -. Quello che si nota è che dal 2010 a oggi sono stati pochi i momenti in cui il sistema italiano non è stato in sofferenza rispetto alle domande d’asilo pendenti: ci sono state cioè sempre più domande da analizzare che decisioni finali. Una spinta all’aumento delle decisioni si è avuta solo tra il 2014 e 2015, quando il flusso dei migranti verso il nostro paese è iniziato ad aumentare”.
In particolare, rileva Villa, fino al 2014 si sono registrate in media 2000 decisioni al mese, dal 2015 il numero è salito a 6000-7000, rimanendo costante fino ad oggi. Cosa significa? “Quando il sistema è sotto pressione, come avvenuto appunto nel 2015 risponde bene allo stress e questo fa aumentare gli esiti delle decisioni – afferma-. Ma questo numero è ormai costante da anni quindi per ora, a un anno dall’entrata in vigore della riforma Minniti-Orlando non c’è stato nessun esito positivo sulle commissioni, che di fatto non sono state rafforzate. Si era parlato di 200 nuovi posti, il bando è stato effettivamente fatto e le persone sono state selezionate, ma visti i ritardi della pubblica amministrazione in molti non sono stati ancora chiamati”.
I dati sono ancor più interessati se comparati alla diminuzione costante degli arrivi negli ultimi mesi: dai 181 mila arrivi del 2016 si è passati ai 119 mila del 2017 fino ai 6.680 dei primi 4 mesi del 2018 (circa l’80 per cento in meno rispetto all’anno precedente). “Tra il 2014 e il 2015 le commissioni hanno triplicato le decisioni, ma non sono riuscite a fare lo stesso balzo in avanti quando le richieste d’asilo sono cominciate ad aumentare nel 2016, con l’entrata in vigore dell’agenda europea sulle migrazioni – spiega Villa – . Prima di questa data il fenomeno dei cosiddetti transitanti era più evidente, alcuni venivano lasciati passare anche per non stressare il sistema. Da quel momento in poi i nodi sono venuti al pettine e il sistema non è riuscito ad adeguarsi”. Nel 2017 il nostro paese ha registrato il numero record i domande di protezione internazionale: 130 mila, di queste ne sono state esaminate 81.527. “Per ora a salvare la situazione c’è solo il fatto che sono diminuiti gli arrivi nel nostro paese dopo gli accordi con la Libia – aggiunge Villa -, non c’è stato un miglioramento del sistema”.
Ispi rileva, infine, come non siano migliorati neanche i tempi medi di attesa per la risposta, che continuano ad attestarsi intorno ai 19 mesi. “Negli ultimi anni siamo passati da 25 mesi a un anno e mezzo, ma siamo ancora a livelli alti – spiega ancora il ricercatore -. Va detto che anche in Germania e Svezia, paesi anch’essi sotto pressione per numero di richieste d’asilo, i tempi di attesa sono di circa due anni. Gli esiti negativi ormai superano quelli positivi, il rapporto resta di 60-40”.