Sono 16 milioni i pensionati in Italia, il 40% percepisce un reddito lordo inferiore ai 12 mila euro

I dati della Relazione annuale dell’Inps. Al 31 dicembre 2021 l’Istituto erogava pensioni per un totale di 305 miliardi di euro, di cui solo 44% corrisposto alle donne. Divario di genere: la differenza tra uomini e donne nel reddito pensionistico è di oltre 6 mila euro. Tra coloro che si sono ritirati dal lavoro dopo il 2017, il tasso di sostituzione è pari al 75% della retribuzione massima ricevuta negli ultimi 10 anni di attività

Sono 16 milioni i pensionati in Italia, il 40% percepisce un reddito lordo inferiore ai 12 mila euro

Il Presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha illustrato questa mattina presso la Sala della Regina di Montecitorio la Relazione annuale dell’istituto, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Il secondo capitolo del rapporto si occupa della dinamica pensionistica. Ecco i dati.
Su un totale di 16 milioni di pensionati, al 31 dicembre 2021 l’Istituto corrispondeva una pensione a 15.5 milioni di pensionati, di cui 7.4 uomini e 8.1 donne (pari al 52%) per un totale di 305 miliardi di euro di pensioni erogate, di cui solo 44% corrisposto alle donne. Dal momento che il totale delle prestazioni era pari a 20.8 milioni, vi è una quota di pensionati che riceve più di una prestazione (20% degli uomini e 33% delle donne).
Il tema del divario di genere scaturisce dall’osservazione che, nel 2021, la differenza tra uomini e donne nel reddito pensionistico è stato di oltre 6 mila euro. “Tale divario – afferma l’Inps - si ricollega al fatto che gli uomini prevalgono nettamente nelle pensioni anticipate, ovvero quelle di importo più elevato, mentre le donne hanno una netta prevalenza nelle pensioni ai superstiti e in quelle di vecchiaia”. Scomponendo il divario pensionistico nelle sue componenti, emerge che esso è riconducibile a retribuzione oraria (differenza del 17% nel settore privato), tempi di lavoro (part-time) e anzianità contributiva (differenza del 40% nel 2001 scesa al 25% nel 2021).

“Da un confronto per età dei pensionati, emerge però che i divari in termini di frequenza delle anticipate decresce con l’età, per cui, in futuro, una quota crescente di pensionate potrebbe avere pensioni dirette di livello comparabile a quello dei pensionati”, sottolinea l’Inps.
Tuttavia, notevoli differenze di genere si registrano anche negli importi delle singole tipologie di pensioni. “Per le prestazioni più strettamente legate all’attività lavorativa, ovvero le anticipate e la vecchiaia, il divario è in parte riconducibile alle ben note differenze in termini di continuità lavorativa, anche se il divario in termini di anzianità contributiva si è visibilmente ridotto nel tempo. Le settimane di contribuzione delle pensionate più giovani, infatti, superano dell’80% le settimane delle più anziane, ma la differenza rispetto agli uomini resta significativa. Dall’analisi dei dati emerge, inoltre, che il rapporto tra pensione lorda e settimane di contribuzione è significativamente maggiore per i maschi e questo suggerisce che il contributo alla pensione di una settimana di lavoro è maggiore per i maschi che per le femmine”.

Allo scopo di misurare il potere d’acquisto dei pensionati e l'efficacia del sistema di previdenza nel fornire un reddito pensionistico in sostituzione di quello da lavoro, si è poi stimato il tasso di sostituzione delle pensioni. Tra coloro che si sono ritirati dal mercato del lavoro dopo il 2017, il tasso di sostituzione risulta pari, in media, al 75% della retribuzione massima ricevuta negli ultimi 10 anni di attività, con una differenza di 2 punti percentuali tra maschi e femmine. Rispetto agli altri paesi dell’Ue, si tratta di un valore relativamente elevato. Infatti, nel confronto internazionale tra i Paesi dell’Ue 27, si tratta di un valore elevato, inferiore solo a Grecia, Spagna e Portogallo. La dispersione del tasso di sostituzione è però notevole, ed è in larga misura riconducibile alle differenze nell’anzianità contributiva dei pensionati.

Il capitolo approfondisce poi il tema della disuguaglianza in termini di reddito pensionistico e la questione delle pensioni “povere”. Nel 2021, il 40% dei pensionati ha percepito un reddito pensionistico lordo inferiore ai 12.000 euro. Da un’analisi del ventesimo percentile di reddito pensionistico (fino a 10.000 euro nel 2021) emerge che solo il 15% dei pensionati in questa fascia riceve un assegno sociale e il 26% una pensione al superstite. Quasi il 60% percepisce una pensione di vecchiaia o anticipata dal Fondo pensione dei lavoratori dipendenti, il che riflette l’ampiamente discusso fenomeno della cosiddetta povertà lavorativa.

Per quanto riguarda la disuguaglianza di reddito pensionistico, nel periodo 1995-2021, l’indice di concentrazione di Gini dei redditi pensionistici è cresciuto di circa il 10%, attestandosi a 0.35 nel 2021, un valore inferiore a quello delle retribuzioni che è superiore a 0.46. La disuguaglianza è massima tra le pensioni di vecchiaia dei lavoratori dipendenti del privato (soprattutto maschi), presumibilmente per la grande variabilità della loro anzianità contributiva.

L’Inps effettua poi un confronto tra Paesi per quanto riguarda la spesa pensionistica utilizzando dati Eurostat sulla base dei quali, nel 2019, l’ultimo anno per cui sono disponibili i dati riclassificati, la spesa pensionistica dell’Ue 27 è stata il 12,7% del PIL. In Italia e Grecia il rapporto è stato pari al 16%, in Francia al 15%, in Germania al 12% e al 5% in Irlanda. Come prevedibile, la spesa in rapporto al PIL risulta crescente nel tasso di sostituzione della pensione rispetto all’ultimo salario, per cui nei paesi meno generosi, laddove la pensione è una frazione contenuta del salario, la spesa in rapporto al PIL è più bassa. Non emerge invece una correlazione tra la spesa media per beneficiario e il regime di calcolo della pensione.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)