“Piccole” produzioni per un grande agroalimentare. Nei piccoli comuni si produce ben il 93% dei prodotti di origine protetta

Il comparto della produzione di cibo è fatto da realtà molto diverse tra di loro che contribuiscono però a rendere unico ciò che in Italia viene prodotto

“Piccole” produzioni per un grande agroalimentare. Nei piccoli comuni si produce ben il 93% dei prodotti di origine protetta

Piccolo è ancora bello, e soprattutto buono. Perché le tipiche produzioni agroalimentari nazionali nascono quasi tutte nei comuni con meno di cinquemila abitanti. Circostanza importante, che va tutelata ma che non va confusa con il resto dell’ampio comparto alimentare italiano.
Stando allo studio Coldiretti/Symbola su “Piccoli comuni e tipicità”, presentato qualche giorno fa, nei territori dei 5.538 piccoli comuni con al massimo 5.000 abitanti, in cui vivono quasi 10 milioni di italiani, si produce infatti ben il 93% dei prodotti di origine protetta (Dop, Denominazione di Origine Protetta e Igp, Indicazione di Origine Protetta) e il 79% dei vini italiani più pregiati. Un patrimonio di gusto e biodiversità – è stato fatto rilevare – che fa da traino anche al turismo, con 2 italiani su 3 (65%) tra coloro che andranno in vacanza che visiteranno un borgo nell’estate 2024.
Si tratta a tutti gli effetti, di un sistema virtuoso che rappresenta ben il 70,1% dei 7901 comuni italiani. Dal punto di vista agroalimentare, ben 297 di 321 prodotti a denominazione di origine italiani riconosciuti dall’Unione Europea hanno a che fare con i piccoli comuni che, nel dettaglio, garantiscono la produzione di tutti i 54 formaggi a denominazione, del 98% dei 46 olii extravergini di oliva, del 90% dei 41 salumi e dei prodotti a base di carne, dell’89% dei 111 ortofrutticoli e cereali e dell’85% dei 13 prodotti della panetteria e della pasticceria. Ma grazie ai piccoli centri è garantito anche il 79% dei vini più pregiati che rappresentano il Made in Italy nel mondo. Un patrimonio conservato nel tempo da 279mila imprese agricole. Numeri da capogiro che sostengono per davvero una parte consistente e significativa dell’agroalimentare nazionale. Numeri che, tuttavia, non devono far dimenticare almeno due punti delicati.
Se, infatti, da una parte la rete dei piccoli comuni si dimostra essere sempre più preziosa, dall’altra quei territori continuano ad avere più di un problema. Piccoli comuni davvero “ricchezza nazionale”, dunque, ma ricchezza che va salvaguardata creando, per esempio, le condizioni affinché la popolazione residente e le attività economiche possano rimanere. Negli ultimi dati ISTAT sulla popolazione italiana, si è registrata la perdita di oltre 35mila residenti nei borghi in un anno. È quindi fondamentale contrastare lo spopolamento, che aggrava anche la situazione di isolamento delle aziende agricole e aumenta la tendenza allo smantellamento dei servizi, dei presidi e delle forze di sicurezza presenti sul territorio.
Oltre a tutto questo, è necessario non confondere il buon agroalimentare tipico con la totalità del comparto. La produzione alimentare italiana fatta dalle piccole tipicità, va di pari passo con l’evoluzione di una filiera agroalimentare che vede agricoltura, industria e distribuzione necessariamente alleate (nonostante spesso vi siano tensioni e forti dialettiche) e alle prese con un mercato interno in difficoltà e con un mondiale sempre più competitivo. Senza dire, poi, delle difficoltà che le imprese agricole hanno sul fronte dei costi di produzione, delle politiche europee e della concorrenza spesso sleale.
Situazione quindi complessa e variegata quella dell’agroalimentare italiano: piccole e pregiatissime produzioni locali, accanto a commodities importanti oltre che filiere di produzione e trasformazione articolate. E’ però, a ben vedere, proprio questo l’elemento che fa dell’agroalimentare nazionale qualcosa di unico e inimitabile.

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Fonte: Sir