Patto anti-inflazione, buona cosa ma non basta. Serve altro per eliminare le discriminazioni alimentari

L’intesa tra le diverse parti della filiera agroalimentare è un rimedio momentaneo

Patto anti-inflazione, buona cosa ma non basta. Serve altro per eliminare le discriminazioni alimentari

Un patto anti-inflazione, un paniere anti-inflazione. E’ quanto stabilito pochi giorni fa dal governo e dai principali attori della filiera agroalimentare italiana. Tre mesi per ridare fiato al mercato interno e, soprattutto, alle famiglie, con un accordo per mettere in vendita un insieme di prodotti alimentari a prezzi contenuti. Tema sempre più delicato, quello degli effetti della crisi economica e della necessità di far intraprendere ai consumi una marcia in più. Tema che, tuttavia, non deve distrarre da altri che, sempre sull’alimentare, hanno un ruolo importante.

Rilancio dei consumi, dunque. Obiettivo assolutamente prioritario in un periodo in cui – come hanno fatto notare i coltivatori diretti e le imprese di Filiera Italia -, “a causa dell’aumento dei prezzi le famiglie hanno tagliato di quasi il 5% le quantità di cibo e bevande”. Le diverse componenti della lunga e complessa filiera che porta gli alimenti dai campi e dalle stalle alle nostre tavole sono state quindi chiamate dall’esecutivo ad un’operazione di grande responsabilità. Sulla quale, però, un po’ tutti hanno tenuto a puntualizzare alcune circostanze. Così, Coldiretti e Filiera Italia, hanno precisato che l’accordo “deve garantire il rispetto della normativa vigente in materia di contrasto alle pratiche commerciali sleali ed in particolare quella relativa al divieto di vendita sottocosto ed assicurare che non si producano distorsioni nella ripartizione del valore e di una equa remunerazione, a pregiudizio soprattutto delle fasi contrattualmente più deboli, posizionate a monte della filiera agroalimentare”. Un modo un po’ complesso per dire che se da una parte l’accordo anti-inflazione è cosa giusta, dall’altra però questo non deve ricadere in termini economici solo sugli agricoltori e sulla trasformazione a questi legata. Un atteggiamento comprensibile, soprattutto quando si pensi ai problemi che la produzione agricola ha dovuto affrontare in questi ultimi tempi tra clima avverso e costi di produzione sempre più alti. Ma anche la distribuzione ha tenuto a puntualizzare alcune cose. Federdistribuzione, in una nota, ha sottolineato: “Per le aziende della distribuzione si può oramai parlare di ‘biennio anti-inflazione’: l’impegno del prossimo trimestre, durante il quale le nostre imprese potenzieranno l’offerta di risparmio per milioni di italiani, si aggiunge infatti a tutto lo sforzo messo in campo negli ultimi diciotto mesi per rallentare l’aumento dei prezzi al consumo, frenando la spinta della crescita dei costi energetici, delle materie prime e dei prezzi di listino dei prodotti industriali”. Come dire, anche noi abbiamo fatto e faremo la nostra parte, anche “troppo” forse.

Patto anti-inflazione a denti stretti, dunque. Ma comunque un accordo dal quale qualche risultato arriverà comunque. Ma che, come si è detto, non deve far dimenticare un altro aspetto del mercato al consumo agroalimentare, quello degli sprechi. Che, diciamolo subito, nel tempo sono diminuiti (del 25% circa) ma che continuano ad essere notevoli. Stando alle elaborazioni del Centro Studi Divulga, in Italia si perdono in spreco alimentare 333 euro per abitante, il nostro Paese si pone così al quinto posto tra quelli con i maggiori riflessi economici negativi, dietro al Belgio (552 euro pro capite), Danimarca (518 euro), Portogallo (506 euro) e Grecia (475 euro). Ma non è solo questo che conta. A rimanere, sempre in tema di alimentazione, è il divario tra chi può permettersi pasti sani, equilibrati e abbondanti e chi stenta a mettere insieme il pranzo con la cena. E’ ciò che Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, ha indicato come food social gap e spiegato con chiarezza così: “Quella frattura tra chi potrà continuare a permettersi cibo di alto valore, anche nutrizionale, e chi dovrà rivedere al ribasso il proprio carrello della spesa, che incide profondamente sulle famiglie italiane e crea profonde crepe sociali”. A ben vedere è proprio qui che occorre agire.

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Fonte: Sir