Cereali colpiti dal clima avverso. Prima il gran secco e poi le piogge torrenziali hanno messo in ginocchio uno dei comparti cruciali

Avere meno materia prima potrà significare quindi un più forte ricorso alle importazioni e un possibile aumento dei prezzi

Cereali colpiti dal clima avverso. Prima il gran secco e poi le piogge torrenziali hanno messo in ginocchio uno dei comparti cruciali

Prima troppo secco, adesso troppa acqua. Il risultato è già previsto: una serie importante di produzioni agricole rischia di essere più che dimezzata. E si tratta di prodotti importanti per tutti. Tra i primi a dare l’allarme sono stati gli stessi coltivatori e poi anche i trasformatori delle materie prime.

Ailma, l’Associazione italiana lavorazione mais alimentare, ha attirato l’attenzione sulla situazione del mais: “Le piogge torrenziali e l’instabilità meteorologica degli ultimi due mesi – si legge in una nota – hanno bloccato le semine di aprile e rallentato quelle di recupero a giugno”. C’è quindi una forte preoccupazione “per la scarsità di materia prima Made in Italy e per la tenuta della filiera maidicola”. Detta in numeri, la situazione è sintetizzata da Massimiliano Carraro, presidente di Ailma, che spiega come in campo “si sia seminato, con grande fatica, il 60% del mais normalmente prodotto”. Oltre alla quantità, il maltempo incide sulla qualità del raccolto e favorisce le malattie della pianta. La conseguenza di tutto questo è “uno scenario che da tempo registra il calo progressivo delle aree coltivate a mais, in cui la previsione per la prossima campagna è che le rese produttive si ridurranno del 30-35%”. E non solo perché la scarsità di materia prima sta inducendo i produttori di biogas a reperire il trinciato di mais usato come “combustibile” rifornendosi sul mercato dei produttori di granella destinata all’uso alimentare e mangimistico provocandone così una diminuzione delle disponibilità. Ma quali riflessi potrà avere sui consumatori questa situazione? Ancora Ailma spiega come farine da mais e da leguminose siano alla base di un’ampia gamma di importanti prodotti alimentari: snack salati e dolci, prodotti da forno, prodotti per la prima colazione, birra, pasta, bevande vegetali e prodotti alternativi alla carne. Avere meno materia prima potrà significare quindi un più forte ricorso alle importazioni e un possibile aumento dei prezzi. Una situazione molto simile, tra l’altro, sta colpendo anche le altre aree di produzione maisicola al mondo.

Se il mais è in difficoltà, gli altri cereali non sono da meno. In molte aree dello Stivale, fa notare Coldiretti, il grano è stato letteralmente spazzato via dalla grandine. Un primo bilancio, limitato, nelle aree più colpite parla di una situazione pensante nel Bergamasco, anche se “l’ondata di maltempo – rileva la Coldiretti – ha colpito anche le altre province della Lombardia oltre a Piemonte e Trentino Alto Adige”. A farne le spese, oltre alle strutture agricole, appunto, vaste aree di produzione cerealicola.

Proprio quella del grano è tuttavia la classica situazione che spiega bene a cosa può essere sottoposta la produzione agricola. Ancora i coltivatori diretti, infatti, pochi giorni prima di una delle ultime ondate di maltempo avevano attirato l’attenzione sugli effetti della siccità sui cereali che avrebbe “bruciato in Italia un campo di grano su 5, con un crollo atteso della produzione nazionale di grano almeno del 20% per effetto della mancanza di pioggia e del caldo torrido che hanno colpito le campagne del Sud Italia, a partire dalla Puglia e della Sicilia, dove si produce quasi la metà del totale nazionale di frumento duro”. Senza dire del Nord in cui “le prime trebbiature sul grano danno una fotografia allarmante in termini quantitativi con cali dell’ordine del 20% ma ottimi segnali dal punto di vista qualitativo”.

“I primi risultati che vengono dall’avvio delle operazioni di raccolta – si legge in una nota di Coldiretti di inizio luglio – stanno confermando le previsioni negative delle scorse settimane, con punte di calo del 40/50% per il grano duro al Sud Italia. In Puglia si registrano rese per ettaro praticamente dimezzate, mentre in Sicilia molte aziende hanno addirittura rinunciato a raccogliere, mentre in alcune zone la produzione è stata letteralmente azzerata, facendo prevedere un crollo della produzione nazionale intorno ai 3 miliardi di chili, la più bassa degli ultimi 15 anni.  L’unica notizia positiva arriva dalla qualità, mediamente buona-ottima”.

Una prospettiva poi cambiata bruscamente e in peggio dalle piogge torrenziali.

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Fonte: Sir