Non perdiamoci nella volatilità elettorale. Nota politica

Non sono mai abbastanza le parole da spendere per spiegare quanto il Pnrr costituisca per l’Italia un’opportunità che non è possibile perdere.

Non perdiamoci nella volatilità elettorale. Nota politica

I numeri documentano che dal 2013 l’Italia ha avuto la più alta volatilità elettorale dell’Europa occidentale, con esiti che spesso hanno smentito clamorosamente previsioni e sondaggi. Basterebbe questo dato per invitare a una certa prudenza nel provare a immaginare gli scenari politici del dopo-Berlusconi. Le tendenze di fondo già scontavano da tempo gli effetti del progressivo e pronunciato declino di Forza Italia, ma la scomparsa del suo inventore e leader è un fattore la cui incidenza nessuno oggi è in grado di misurare con precisione.
Per dovere d’ufficio, le cronache quotidiane registreranno nelle prossime settimane e nei prossimi mesi tutti gli spostamenti – anche i più piccoli – all’interno del ceto politico nazionale, senza tuttavia poter valutare la loro effettiva rilevanza rispetto ai comportamenti degli elettori. Tanto più che di qui a un anno l’orizzonte in cui si muoveranno le forze politiche (per la verità hanno già cominciato a farlo con largo anticipo) sarà quello delle elezioni europee del giugno 2023 e del rinnovo dei vertici Ue. Se non si guarda a questi appuntamenti ci si preclude la comprensione di buona parte delle mosse dei diversi soggetti in campo.
Le connessioni tra il livello politico nazionale e quello nazionale sono ormai evidenti a tutti, e non soltanto in termini generali. Nel 2019, per esempio, il voto decisivo degli eurodeputati del M5S nell’elezione di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione Ue fu determinante per creare le condizioni da cui sono nati il Conte 2 e lo stesso governo Draghi. Stavolta è un’altra forza emergente di matrice euroscettica, FdI, a muoversi per non restare fuori dalla maggioranza che eleggerà (o rieleggerà) il numero uno della Commissione, modificando in un modo o nell’altro il quadro attuale delle alleanze. In questo senso Giorgia Meloni sembra avere tutto l’interesse a favorire una certa tenuta di Forza Italia, almeno fino al voto europeo: non solo per evitare smottamenti negli equilibri del governo nazionale, ma anche per la sponda che questo partito può offrirle nelle relazioni continentali, soprattutto in quanto membro italiano del Ppe.
La premier, del resto, è consapevole di come non sia possibile governare uno dei pilastri della Ue – nonché Stato fondatore – isolandosi o rimanendo ai margini rispetto alle dinamiche di vertice dell’Unione. A maggior ragione in una fase in cui sono in ballo l’attuazione del Pnrr e il varo del nuovo Patto di stabilità, due scadenze di importanza cruciale per il futuro del nostro Paese e del progetto europeo, i cui destini sono assai più intrecciati di quanto una certa retorica sovranista accetti di riconoscere.
Non sono mai abbastanza le parole da spendere per spiegare quanto il Pnrr costituisca per l’Italia un’opportunità che non è possibile perdere, anche se è forte la tentazione di strumentalizzare i dati positivi di questa fase economica per non affrontare le debolezze strutturali del nostro sistema. Sarebbe una grave miopia. Allo stesso tempo un fallimento del Pnrr in Italia (che ne è di gran lunga la principale beneficiaria) rappresenterebbe un colpo potenzialmente letale alla prospettiva di un’Europa più solidale e inclusiva che quel Piano aveva finalmente sdoganato. Ma ci sono forti interessi che spingono in direzione contraria e anche per il bene del nostro Paese bisogna evitare che prevalgano.

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Fonte: Sir