Myanmar. Maggi: “Una situazione complessa in continuo peggioramento”

“Una situazione complessa in continuo peggioramento”. È la fotografia di oggi del Myanmar. Nel Paese è ancora forte la scia di violenza, povertà e disagio partita nel febbraio 2021, quando l’ex Birmania è stata teatro di un drammatico colpo di stato che ha rovesciato il governo democraticamente eletto della Lega nazionale per la democrazia (Nld), guidata da Aung San Suu Kyi. Per capire come è la situazione oggi nel Paese, il Sir ha incontrato padre Livio Maggi, responsabile di New Humanity

Myanmar. Maggi: “Una situazione complessa in continuo peggioramento”

“Una situazione complessa in continuo peggioramento”. È la fotografia di oggi del Myanmar. Nel Paese è ancora forte la scia di violenza, povertà e disagio partita nel febbraio 2021, quando l’ex Birmania è stata teatro di un drammatico colpo di stato che ha rovesciato il governo democraticamente eletto della Lega nazionale per la democrazia (Nld), guidata da Aung San Suu Kyi. Le elezioni generali del novembre 2020 avevano visto una schiacciante vittoria dell’Nld, che ha ottenuto oltre l’80% dei seggi disponibili, mentre il partito sostenuto dai militari, l’Unione per la solidarietà e lo sviluppo (Usdp), ha subito una pesante sconfitta. Il giorno del colpo di stato, l’esercito ha arrestato Aung San Suu Kyi, il presidente Win Myint e numerosi altri leader del Nld. Hanno poi dichiarato lo stato di emergenza per un anno e hanno trasferito il potere al comandante in capo, Min Aung Hlaing. Le comunicazioni sono state interrotte, con il blackout di Internet e della telefonia, mentre i militari prendevano il controllo delle istituzioni governative. La risposta popolare è stata immediata e massiccia. Milioni di cittadini hanno partecipato al Movimento di disobbedienza civile (Cdm), che ha visto proteste pacifiche, scioperi e boicottaggi contro il regime militare. Studenti, medici, lavoratori pubblici e privati si sono uniti in una dimostrazione di solidarietà nazionale contro l’usurpazione del potere democratico. La risposta dell’esercito è stata brutale. Le forze di sicurezza hanno utilizzato munizioni vere contro i manifestanti, provocando centinaia di morti e migliaia di feriti.

Le Nazioni Unite hanno riferito di violazioni diffuse dei diritti umani, tra cui detenzioni arbitrarie, torture e uccisioni extragiudiziali. Una serie di eventi che hanno avuto conseguenze disastrose dal punto di vista economico e sociale. Non sono mancate le reazioni internazionali e i numerosi appelli per la Pace, ma ancora nulla si muove. Per capire come è la situazione oggi nel Paese, il Sir ha incontrato padre Livio Maggi, responsabile di New Humanity.

Com’è la situazione oggi in Myanmar?
La situazione è molto complessa e sotto alcuni aspetti sta peggiorando. Da un punto di vista economico è un disastro. Ci sono le sanzioni economiche internazionali le quali, purtroppo hanno conseguenze che colpiscono quasi unicamente la povera gente. Quei pochi investitori che c’erano si stanno ritirando, perché c’è un crollo economico tremendo con l’inflazione che galoppa. Basti pensare che l’anno scorso un dollaro costava 1300-1800 kyat, mentre oggi siamo arrivati a oltre 3800 kyat. Anche dal punto di vista sociale ci sono naturalmente diverse tensioni tra gruppi etnici e militari del governo. Sono tutte ripercussioni del conflitto iniziato nel 2021.

Tanti gli appelli dalla comunità internazionale. Anche il Papa richiama spesso l’urgenza di porre fine al conflitto. È cambiato qualcosa?
Sinceramente non saprei dire se qualcosa si è mosso.

Posso dire solo che la situazione è peggiorata e nessuno ne parla. Il Papa ne ha parlato e ne parla moltissimo e in termini di “guerra dimenticata”, ma purtroppo dal punto di vista mondiale è un Paese che non interessa molto, anche se nel contesto geopolitico asiatico è molto importante, oltre ad essere una terra ricca di risorse.

La Conferenza episcopale italiana – attraverso il Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli – sta finanziando moltissimi progetti e iniziative a sostegno della popolazione. Come vengono declinati nei territori che hanno risentito del conflitto.
Con il sostegno della Cei riusciamo a lavorare in numerosi ambiti. Abbiamo fatto una scuola all’interno del carcere minorile con 7 maestri e un medico. Ci occupiamo principalmente di problemi sociali. Abbiamo molti professionisti che lavorano per la riabilitazione dei traumi, che in precedenza erano dati da abuso di alcol e droghe. Oggi sono traumi di guerra. I ragazzi che seguiamo sono tutti minorenni e profughi di guerra. Sono circa 350 e sono scappati dalle zone di conflitto.

Con loro cerchiamo inoltre di fare un lavoro di avviamento professionale. Non ci sono molte opportunità ma stiamo cercando di dare loro un po’ di speranza. Sono ragazzi che vengono da uno strato sociale molto basso, e non sono riusciti a finire le scuole. Talvolta riusciamo a mandarli in qualche piccola azienda per fare un po’ di tirocinio. Ci occupiamo anche di disabilità. È un problema molto importante. In diverse aree e con diverse disabilità, stiamo seguendo in questo momento circa 400-500 ragazzi, molti anche con disabilità mentali.

Quali sono oggi le priorità?
Noi non possiamo risolvere i grandi problemi, quindi la nostra priorità è dare un po’ di speranza e far sì che queste persone possano pensare di avere un qualche futuro. Lo facciamo anche mantenendo un certo rapporto con le autorità, in particolare il Ministero dei problemi sociali. Non si può demonizzare tutto e tutti alla stessa maniera. Di gente che desidera il bene delle persone, ce ne sono da ogni parte… I ragazzi scappano per paura. Hanno paura anche di essere arruolati. Purtroppo spesso hanno anche un senso di rassegnazione. Dobbiamo essere lì presenti per trovare un qualcosa di diverso per loro. Hanno una gran voglia di imparare. È importante dare loro strumenti, così come la speranza in un futuro.Andrea Regimenti

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