La guerra e il grano. Le terribili ripercussioni dell'aumento del prezzo del grano per i Paesi poveri
Non sarà una crisi passeggera, non si semina né si raccoglie dove passano i cingoli dei carri armati.
Una delle conseguenze di questa nefasta guerra ucraina è l’aumento del prezzo del grano, di cui Russia e Ucraina sono tra i principali produttori mondiali. Cresce il costo del grano duro, che importiamo abbondantemente noi italiani per fare la pasta; cresce soprattutto quello del grano tenero, adatto per fare il pane.
Ebbene, il pane è alimento vitale per molte popolazioni mondiali, dal Marocco all’Iran, dal Sudan alla Turchia. Per noi sazi occidentali è un accompagnamento al pasto da sbocconcellare il meno possibile per non danneggiare la linea; ma in Yemen, in Libano e Siria, in Egitto e nelle steppe asiatiche è la base dell’alimentazione. Tanto che diversi Paesi sussidiano il costo della farina per mantenere prezzi abbordabili ai più. Ed evitare quelle “rivolte del pane” che, tanto per ricordarne una, nel 2010 furono la miccia che scatenò le cosiddette primavere arabe.
Qui si presentano due ordini di problemi: di spesa e di quantità. Quotazioni in deciso rialzo manderanno in difficoltà popolazioni intere e governi più o meno democratici; l’impossibilità di acquistare milioni di tonnellate di grano russo e ucraino non colmerà il vuoto di produzione che da anni registrano Paesi affetti da siccità ormai quasi croniche, come l’Iran o la Turchia.
Era il piano B per calmare opinioni pubbliche già in fibrillazione da tempo per rincari sempre meno sopportabili; ora ci si dovrà rivolgere a fornitori diversi e pagando molto più di quanto previsto.
Fin qui la politica, ma non il dramma. Che invece viene prospettato dalle organizzazioni non governative in determinati casi: come lo Yemen, poverissimo e piegato da una sanguinosa guerra civile; qui la farina è questione di vita o di morte per denutrizione. Come nell’ex benestante Libano o nella derelitta e dimenticata Siria, dove milioni di persone faticano a mettere insieme pranzo (oggi) con cena (domani).
Non sarà una crisi passeggera, non si semina né si raccoglie dove passano i cingoli dei carri armati; non si vende se le esportazioni sono bloccate dalle sanzioni. Per noi italiani sarà un rincaro della michetta o degli spaghetti, un 50 centesimi in più per la pizza di cui (forse) ci accorgeremo. Per molti altri, una mazzata dolorosa e incomprensibile.