L’economia prima e dopo la pandemia. L’impresa del futuro? Sostenibile

Si scorge un nesso tra sostenibilità ambientale, capacità di fare profitti e presenza femminile nei ruoli decisionali. L’economia veneta deve cambiare pelle. Nel rapporto La ripartenza come cambia il lavoro dopo lo "spartiacque" pandemia. Della flessibilità e delle competenze digitali non si potrà più fare a meno

L’economia prima e dopo la pandemia. L’impresa del futuro? Sostenibile

I dati che emergono dall'ultimo rapporto della Fondazione Nord Est sono chiari: il coronavirus ha segnato una linea di confine tra un prima e un dopo, un momento di transizione per la società e l'intero tessuto economico del Pentagono industriale.

«Ma la pandemia — spiega Carlo Carraro, direttore della Fondazione — non è stato soltanto un evento catastrofico. Come spesso succede in questi casi, come spesso succede quando tocchiamo da vicino la relatività della nostra vita, la pandemia ci ha aiutato a ripensare modi di vivere e modelli di sviluppo. Dovremo affrontare problemi importanti di diseguaglianze nei redditi e di esclusione sociale, problemi di modernizzazione delle scuole, delle università e degli ospedali, introducendo tutte le innovazioni che possano rendere queste fondamentali istituzioni più efficienti. Dovremo proteggere e rendere più vivibili le città, ripensando i sistemi dei trasporti e organizzando diversamente lavoro e mobilità. E tutto questo in una situazione di alto debito la cui sostenibilità richiede tassi di crescita del prodotto interno lordo ben superiori a quelli osservati negli ultimi decenni».

Per farlo, servono le competenze giuste, spesso trasversali ed innovative. Per quasi il 40% degli imprenditori veneti nel prossimo futuro aumenterà il grado di flessibilità del lavoro e per quasi il 44% sarà sempre più importante la capacità di gestire situazioni impreviste, meglio se in autonomia. «La situazione attuale — chiarisce Silvia Oliva, ricercatrice senior della Fondazione  Nord Est — ha messo tutti davanti all’evidenza che non possiamo immaginarci uno sviluppo assolutamente lineare ma siamo destinati a confrontarci con l’incertezza e ciò che le aziende chiedono ai lavoratori è che non si abituino a lavorare sempre nello stesso contesto ma che sappiano adeguarsi ai cambiamenti».

L'esempio più immediato di questa necessità di sapersi adattare è quello dato dagli insegnanti che hanno dovuto cambiare in poche settimane metodologie di lavoro assodate nei decenni. La stessa introduzione massiva dello smart working a livello mondiale ha comportato cambiamenti radicali nell'organizzazione dei tempi, dei modi e persino degli spazi dove lavorare: è di questi giorni la notizia che persino la British Airway ha intenzione di mettere in vendita la propria sede di Heathrow approfittando del fatto che i quasi 2000 dipendenti che la occupano lavorano stabilmente da casa.

«Il famoso tema del lavoro ibrido — continua Silvia Oliva — quello che, per intenderci, tiene insieme le competenze tecnico professionali della professione con quelle digitali che possono variare anche all’intero delle varie tipologie di imprese. L’applicazione dello smart working ha messo in luce alcune competenze trasversali come il lavorare in autonomia: in un contesto in cui siamo sempre stati abituati a lavorare tutti presenti e vicini e con un costante confronto con il tuo team o responsabile di riferimento, si aveva un’indipendenza necessaria ma non indispensabile. Oggi il lavoratore si trova da solo, davanti al suo computer a dover gestire i propri tempo e obiettivi da raggiungere».

Al netto dei comparti più innovativi, però, l'andamento dell'occupazione misura la febbre di un tessuto economico in sofferenza: per il 65% degli imprenditori coinvolti nell'indagine condotta da Umana e Fondazione Nord Est si assisterà ad una contrazione degli occupati nel settore tessile, quasi alla pari con il calzaturiero e l'abbigliamento. Peggio riescono a fare solo l'automotive — per il 61% — e il turismo dove oltre l'80% stima un calo dell'occupazione.

Numeri che trovano riscontro nei dati provvisori relativi al 2020 che vedono una contrazione complessiva dei rapporti di lavoro pari a 116 mila unità rispetto all'anno precedente. Questi dati risultano però falsati dal blocco dei licenziamenti istituito nel febbraio dello scorso anno ed ancora in vigore: una percezione più corretta del mercato del lavoro si può avere andando a guardare i dati relativi ai contratti a termine, crollati di 146 mila unità nell'anno. Il rischio, insomma, è che la disoccupazione effettiva risulti sottostimata.

L'esempio può essere fatto con l'occupazione giovanile, tornata prossima al 30%: qui la contrazione dei contratti a tempo determinato, dovuta alle restrizioni causate dalla pandemia e in un contesto fortemente imbrigliato dal decreto Dignità, si è fatta particolarmente sentire. 

Male va anche l'occupazione femminile che nel 2020 riscontra un calo di 402mila unità con una percentuale nazionale del 4,1%, quasi doppia rispetto alla media europea. Performance analoga anche rapportata al sesso, con un'andamento negativo doppio fra donne e uomini con l'aggravante che le donne risultano penalizzate anche nelle nuove assunzioni.

Un fattore interessante se visto in prospettiva è però legato alla sostenibilità: esisterebbe una correlazione positiva fra sostenibilità, capacità di generare profitti e presenza femminile fra gli amministratori delle società. Superata la pandemia, il mercato è sempre più orizzontato a favorire le imprese sostenibili e quindi efficienti, un potenziale volano anche per l'occupazione.

Le competenze: saper gestire l'imprevisto

La pandemia ha esposto le imprese a gestire rischi e problematiche inediti, per farlo servono competenze particolari: per il 24 per cento sarà sempre più importante avere capacità tecniche, per il 30 per cento informatiche ma trasversale è la necessità di sviluppare soft skills che sappiano cogliere le opportunità date dalle nuove metodologie di lavoro. Per fare ciò il 43 per cento delle imprese dichiara di voler rivedere i propri percorsi formativi interni.

I fondamentali. Il ruolo determinante della formazione continua
bambini-computer

Il lavoro e il suo mercato sono uno dei campi di battaglia dove si combatterà per la ripresa economica. Se negli ultimi mesi la strategia è stata principalmente difensiva, intervenendo soprattutto e doverosamente a sostegno dei redditi e cercando di contenere l'emorragia di posti di lavoro, nei prossimi mesi tutta l'azione dovrà essere rimodulata.

La retorica militare ben si sposa con ciò che ci si aspetta dall'intero sistema economico: tornare all'attacco, ricominciando a produrre e a lavorare come prima e meglio di prima della pandemia affrontando alcuni nodi del sistema, primo fra tutti quello legato alla formazione. «L’emergenza — spiega Giorgio Sbrissa, amministratore delegato di Enaip Veneto e presidente di Evta, la più importante rete europea di Enti impegnati nella formazione — ha un virus che è la fonte unica del male ma gli effetti che produce sono diversi nelle diverse fasce della popolazione, nelle età e anche nel censo. Nei ragazzi e negli adulti che avevano meno dimestichezza con il digitale, disponibilità di strumenti».

Formazione e didattica a distanza sono state implementate a tempo di record dal sistema scolastico e mediamente hanno retto l'urto dell'emergenza, facendo però emergere una dicotomia fra la necessità di usare strumenti informatici e l'effettiva capacità di trarne benefici. Non basta, insomma, saper consultare il meteo nello smartphone per definirsi esperti informatici.

«C'è un problema di alfabetizzazione digitale — continua Sbrissa — la gente pensa che basti usare WhatsApp o Zoom per essere esperti di digitale, poi gli chiedi se ha salvato il file in cloud e non sa cosa rispondere. Il ragazzo che viene fuori dai corsi di meccanica auto di Enaip, la prima cosa che sa fare è metter mano alle centraline elettroniche: ci sono più fili elettrici in un’auto che ferro».

Il divario rischia quindi di accentuarsi: da un lato le aziende richiedono personale qualificato ma soprattutto versatile, dall'altro la scuola forma tecnici ma rischia di lasciare indietro le fasce più adulte della popolazione. Quanti meccanici d'esperienza, tornando all'esempio di Giorgio Sbrissa, sono oggi in grado di riparare un'automobile ibrida di ultima generazione?

Bisogna ripensare completamente le politiche del lavoro: la fallimentare esperienza dei navigator ha dimostrato come la buona volontà non garantisca un moltiplicatore sufficiente a far incontrare domanda e offerta di lavoro. Serve formazione, aggiornamento costante e capacità di discernimento. «Uscire dalla pandemia — disse Mario Draghi nel suo primo a discorso alle Camere — non sarà come riaccendere la luce. Il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche». La ripresa, insomma, si può sostenere ma tutti i fondi europei promessi non basteranno a comprarla o a comprare altro tempo.

Un mercato del lavoro in affanno, specie per le donne

Nel 2020 l'Inps ha rilevato una contrazione delle assunzioni del 31 per cento sull'anno precedente dovuta in particolar modo al calo delle assunzioni a termine. Il lockdown ha colpito particolarmente i settori dell'intrattenimento e del turismo, particolarmente legati ai contratti brevi e stagionali. Il blocco dei licenziamenti ha ulteriormente cristallizzato il mercato del lavoro rendendo assai complicata una misurazione puntuale del suo andamento. Significativa la contrazione delle conversioni dei contratti: rispetto al 2019, il 22 per cento dei lavoratori precari non è riuscito a stabilizzare la sua posizione. In calo anche l'apertura di nuove aperture, specie quelle al femminile: meno 42,8 per cento. L'occupazione femminile risulta complessivamente in calo del 2,8 per cento, il doppio di quella maschile.

Dai ristori ai sostegni: il decreto del Governo in sintesi

Un pacchetto da 32 miliardi quello varato dal governo Draghi che prevede anche lo stralcio delle cartelle fino a 5 mila euro relative al decennio 2000-2010 e per chi ha un Isee inferiore a 30 mila euro. Rimangono i nodi legati ai problemi di riscossione, rinviati a un prossimo decreto. Ammontano a 11 miliardi di euro gli aiuti a fondo perduto per le partite Iva che, per colpa della crisi, abbiano perso almeno il 30 per cento rispetto all'ammontare medio mensile del fatturato del 2019. Gli indennizzi sono parametrati al fatturato delle aziende. Prolungata di 13 settimane la cassa integrazione Covid, per la quale non è previsto il versamento di alcun contributo a carico delle imprese: una misura che da sola vale 5 miliardi. Prorogati il blocco dei licenziamenti e le facilitazioni per proroghe e rinnovi dei contratti a tempo determinato.

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