L'accordo vacilla, l'Iran trema
Dietro le scelte americane anche il desiderio di arginare l'espansione della sfera di influenza dell’Iran, in particolare in Siria. Donald Trump pare infatti pronto a rigettare l'accordo sul nucleare. Il mondo guarda con apprensione alla prossima scadenza del 12 maggio.
Nella nuova strategia che il presidente statunitense Donald Trump sta delineando, inaugurata dalla “guerra dei dazi”, suscita particolare apprensione la possibile decisione di non rinnovare l’accordo sul nucleare con l’Iran, che coinvolge anche Russia, Cina, Regno Unito, Francia, Germania e gli altri Paesi dell’Unione europea. Il prossimo 12 maggio scade una delle periodiche certificazioni dell'accordo da parte degli Usa, con la conferma che l'Iran sta rispettando i patti e che l'intesa con Teheran rimane interesse nazionale.
Trump però, da sempre critico nei confronti di questo importante trattato internazionale, non sembra propenso alla conferma e ha risposto picche alle sollecitazioni del presidente francese Macron di procedere a una revisione dell'accordo, ipotesi che ha peraltro sollevato numerose rimostranze, a partire da quelle del presidente iraniano Hassan Rohani che ha messo in dubbio la legittimità della proposta: «Con quale diritto parla Macron ignorando le posizioni degli altri Paesi Ue che hanno siglato l'intesa del 2015?».
Da parte sua l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione Europea, Federica Mogherini, ha chiarito che quello attualmente in vigore è «l’unico accordo che c'è, sta funzionando, sta impedendo all'Iran di sviluppare armi nucleari e impegna l'Iran a non acquisire armi nucleari senza limiti temporali», ricordando anche che quell’accordo «è essenziale per la sicurezza europea». Una posizione ribadita poi congiuntamente da Gran Bretagna, Francia e Germania, anche se accompagnata dal riconoscimento che altri punti rimangono da affrontare, a partire dal controllo sui missili balistici iraniani.
La possibile retromarcia americana sta suscitando ovvie preoccupazioni per le ripercussioni che si potrebbero avere sul mercato mondiale del petrolio. Se oggi il prezzo del greggio è ai massimi livelli da tre anni e mezzo, dipende anche dall’incertezza causata dall’attesa di quale decisione sarà presa da Trump il 12 maggio: se gli Stati Uniti dovessero uscire dall’intesa, scatterebbero le sanzioni comprese quelle contro le esportazioni iraniane di greggio, con una perdita di circa un milione di barili al giorno a livello mondiale.
Uno scenario che sta segnando profondamente l’economia dell’Iran tant’è che all’inizio di aprile, per frenare la svalutazione della moneta, il rial, il governo ha fissato le quotazioni a un tasso legale di 42 mila rial per un dollaro. Ma i risparmiatori, che temono forti ripercussioni sulla moneta se le sanzioni saranno reintrodotte, hanno investito in oro e monete forti, spingendo il Paese verso il collasso quando, proprio grazie all’accordo sul nucleare, l’economia aveva ripreso fiato e nel 2016 il pil era cresciuto del 13,4 per cento.
Il Piano di accordo congiunto globale, conosciuto come “accordo sul nucleare iraniano”, è un accordo internazionale sull'energia nucleare in Iran che è stato raggiunto a Vienna il 14 luglio 2015 tra l'Iran e il P5+1: i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite più la Germania e l'Unione europea. Il testo prevede l'eliminazione delle sanzioni internazionali imposte all’Iran a causa del suo programma nucleare, in cambio di una serie di restrizioni del programma stesso e alla verifica da parte dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) del rispetto degli impegni presi.
In base all'accordo, l'Iran ha accettato di eliminare le sue riserve di uranio a medio arricchimento, di tagliare del 98 per cento le riserve di uranio a basso arricchimento e di ridurre di due terzi le sue centrifughe a gas per tredici anni. L'Iran ha inoltre pattuito di non costruire alcun nuovo reattore nucleare ad acqua pesante, in modo tale da non poter produrre plutonio a sufficienza per costruire una bomba nucleare.
Condizioni non sufficienti per Trump, che chiede che i firmatari del patto concordino restrizioni permanenti sull'arricchimento dell'uranio, nonostante l'Iran sostenga che il suo programma nucleare riguarda esclusivamente scopi civili pacifici e che in questi anni ha rispettato le condizioni poste, accettando la stretta sorveglianza dell’Aiea.
Ma c'è una seconda ragione dietro le dure prese di posizione di Trump, ed è relativa al desiderio di arginare l'espansione della sfera di influenza dell’Iran, in particolare in Siria dove una parte importante delle truppe di terra sono militanti di Hezbollah e Guardiani della rivoluzione iraniani. In questo senso le ultime operazioni militari contro le forze di Assad Siria sono state anche un messaggio all’Iran, che in questi anni si è rafforzato militarmente ed economicamente e ha conquistato vantaggi diplomatici e politici, rispondendo anche alle speranze di Israele, Arabia Saudita e Egitto che vogliono Teheran fuori dalla Siria e privo di qualsiasi sbocco nel Mediterraneo.