Io, prima guida turistica donna in Afghanistan salvata dall’Italia: “Non dimenticate l’inferno di Kabul”

La storia di Fatima Haidari, attivista per i diritti delle donne, evacuata ad agosto nel nostro paese. “L’Italia mi ha permesso di ricominciare ma non riesco a portare qui i miei familiari, sono a rischio proprio per la mia popolarità. Siamo della minoranza hazara, i talebani ci cercano casa per casa. Temo che con la crisi ucraina diventeremo ancor più invisibili”

Io, prima guida turistica donna in Afghanistan salvata dall’Italia: “Non dimenticate l’inferno di Kabul”

“Il giorno in cui sono arrivata in Italia, mi sono sentita finalmente al sicuro, sapevo di poter ricominciare la mia vita e illuminare la mia strada per seguire i miei sogni”. Fatima Haidari era conosciuta come la prima guida turistica donna dell'Afghanistan. Ha sempre lavorato per l’emancipazione femminile, chiedendo che le ragazze potessero andare a scuola e lavorare. Un ruolo che l’ha resa particolarmente popolare, le sue interviste sono finite sui media internazionali, dalla Cnn al Daily Mail. Ma con il ritorno dei talebani a Kabul questa sua posizione di donna in lotta per i diritti delle donne era diventata particolarmente pericolosa. E così il 15 agosto è stata evacuata dall’Afghanistan all’Italia. Da mesi prova a ricostruire un futuro nel nostro paese, da poco ha iniziato a lavorare, a settembre inizierà anche un corso all’Università, ma il suo pensiero è sempre rivolto alla famiglia rimasta in patria e a rischio proprio a causa sua. Oggi la ragazza chiede al Governo italiano di mobilitarsi per un ricongiungimento, col timore che la crisi ucraina renda ancor più invisibile quello che succede in Afghanistan. 

Sono più preoccupato ora, perché tutta l'attenzione è rivolta a quello che succede in Ucraina - racconta a Redattore Sociale -. E’ importante che ci si mobiliti per aiutare quella popolazione in fuga dalla guerra, ma anche in Afghanistan i problemi sono tantissimi, si rischia la vita. Tutti gli esseri umani hanno lo stesso sangue rosso, le loro vite contano allo stesso modo. Eppure c’è discriminazione nei processi di evacuazione e di riconoscimento dei diritti. Io spero che noi afgani non saremo dimenticati”. 

La battaglia disperata che Fatima fa da mesi è per la sua famiglia: “solo il Governo italiano può salvarla, nessun altro - dice -. Alcuni mi dicono che devi conoscere un partito o un politico italiano per tirarli fuori, ma io non conosco nessuno. La mia vita è dura sapendo la mia famiglia in pericolo. Cerco qualcuno che possa aiutarmi, non so davvero più a chi rivolgermi”. Essere stata la prima guida turistica donna in Afghanistan, superare tutte le norme e le restrizioni sociali “mi ha reso famosa a livello nazionale e internazionale. Se sei una donna in Afghanistan non puoi lavorare solo con uomini, specialmente se quegli uomini sono stranieri. Per essere una guida turistica donna, prima ho dovuto disobbedire alla mia famiglia e poi combattere con la società, perché stavo facendo un lavoro non accettato - racconta la ragazza -. Ho lavorato tanto per l'emancipazione femminile, sono stata una conduttrice radiofonica. Ma questo mi ha reso un bersaglio per i gruppi terroristici, per i talebani e altri gruppi contro le donne. Quando i talebani hanno catturato il mio paese, alcuni amici, associazioni e il Governo italiano mi hanno aiutato a scappare”.

Fatima Haidari fa parte della minoranza hazara-sciita. Anche per questo chiede il ricongiungimento con i familiari. “Purtroppo nessuno mi sta aiutando a farlo - aggiunge -. Ormai sono senza speranza e ogni momento penso a cosa potrebbe accadere alla mia famiglia lì. Il governo italiano ha portato qui tutti i familiari dei suoi dipendenti in Afghanistan, io ho lavorato con persone di tutto il mondo, ma ora non so con chi dovrei parlare dell'evacuazione della mia famiglia. Sulla mia minoranza hazara si sta accelerando la morsa dei talebani in Afghanistan, ci considerano colpevoli. I talebani hanno iniziato a cercarci casa per casa, per me è un incubo stare qui e non poter fare niente per i miei cari”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)