Industria bellica. Armi, affari d'oro con l'Egitto
Il regime dei casi Regeni e Zaki è il nostro più importante "cliente" con 871 milioni solo nel 2019. Dato scomodo nelle relazioni diplomatiche. Sei miliardi di euro di fatturato, 45 mila impiegati diretti e 110 mila nell'export. Sono questi i numeri dell'industria bellica italiana descritta in un corposo rapporto al Senato. Siamo di fronte a una specie di monopolio con 15 aziende a fatturare 3,7 miliardi e altre 115 con soli 299 milioni di euro. In testa l'impresa di stato Leonardo
Producono, sempre e comunque. Una nicchia di mercato. Vendono armi nel mondo. E fanno affari d’oro.
C’è proprio tutto nelle 827 pagine della “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, depositata dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro (M5s).
Il regalo di Natale
Il 3 dicembre dalle Commissioni Difesa e Bilancio è arrivato il via libera al contratto da due miliardi di euro. L’esercito italiano otterrà 86 blindati “Centauro 2”, logistica e manutenzione comprese. Incassa la società consortile (operativa dal 1985) fra Iveco Defence Vehicles e Oto Melara. Alla nuova fornitura militare - per altro a carico del Ministero dello Sviluppo Economico - partecipano le fabbriche Iveco di La Spezia (torrette armate), Bolzano e Vittorio Veneto (scafi) con gli impianti di Leonardo-Finmeccanica a Firenze, Genova e Pomezia (sistemi d’arma).
Un mondo “esplosivo”
Lo conferma Stockholm International Peace Research Institute: nel 2019 soltanto i primi 25 gruppi industriali del mondo hanno venduto armi per 361 miliardi di dollari (più 8,5 per cento in un anno). In testa gli americani della Lockeed Martin con gli Usa che occupano le prime cinque posizioni. La novità è rappresentata dall’ingresso in “classifica” di Edge, che riunisce una ventina di aziende degli Emirati arabi. L’Italia è al 12° posto grazie a Leonardo (ex Finmeccanica) con oltre 11 miliardi di fatturato in armamenti.
Il documento ufficiale
Analizza, in dettaglio, l’import-export di ogni genere di armi. Informazioni attinte da palazzo Chigi grazie a più ministeri: Interni, Esteri, Sviluppo economico. In estrema sintesi, nel 2019 l’Italia ha “movimentato” strumenti di morte autorizzati per 5 miliardi 174 milioni di euro, cioè l’1,38 per cento in meno rispetto al 2018 e addirittura il 65,32 per cento in meno rispetto ai 14,9 miliardi del 2016.
Sono sempre 84 i Paesi destinatari delle esportazioni, mentre le autorizzazioni risultano 2.186, in calo rispetto alle 2.327 dell’anno precedente (erano 2.599 nel 2016). Sul fronte delle importazioni, «il valore delle 191 licenze individuali è stato di euro 214.943.621,42, di cui il 68,19 per cento proviene dagli Usa (meno 55,20 per cento rispetto al valore del 2018), mentre il 14,05 per cento proviene da Israele e l’8,67 per cento dalla Svizzera».
Sono gli aerei, le navi da guerra e le apparecchiature elettroniche la specialità dell’industria italiana del settore. Sei M346, otto elicotteri AW139, 24 elicotteri AW149, otto elicotteri AW189 e due elicotteri AB412 si traducono in oltre 1,6 miliardi. Il cacciamine OSN e il pattugliatore d’altura più forniture navali varie significano 672 milioni. Bombe, missili, siluri e razzi contabilizzano 256 milioni. Autocarri, blindati, carri armati altri 275 milioni. Senza dimenticare un ulteriore segmento di questo export: agenti tossici e materiali radioattivi venduti per 136.350 euro.
Business che passa attraverso le banche: «Dal confronto con i dati del 2018 emerge che il numero delle segnalazioni è sensibilmente aumentato, passando da 16.101 a 17.678 (più 9,79%). Anche il volume complessivo delle transazioni oggetto di segnalazione è aumentato (10,3 miliardi nel 2019 contro 9 miliardi nel 2018), facendo riferimento a numerose operazioni autorizzate anche in epoca precedente. Nell’anno 2019 oltre il 67% delle transazioni è stato negoziato da tre istituti di credito».
I migliori “clienti”
L’Egitto è schizzato in vetta: 871,7 milioni di commesse. Seguono Turkmenistan (446,1 milioni), Regno Unito (419,1), Usa (306,1), Francia (274,2), Australia (238,2), Germania (213,6), Algeria (172,7), Corea del Sud (165,5) e Brasile (146,1). La geografia dell’export di armi appare nitida. Con 1,333 miliardi si concentra nell’area dell’Africa settentrionale e del Medio oriente, alimentata negli anni precedenti in particolare dal Qatar (oltre 6 miliardi di commesse). Altri 1,2 miliardi si incassano dai Paesi dell’Unione europea e della Nato: spiccano Turchia, Malta e Cipro. L’Asia aggiunge 335 milioni, mentre l’Africa centro-meridionale arriva a 26 e l’America centro-meridionale a 174. Una curiosità: nel 2016 è stata protocollata anche un’autorizzazione per il Vaticano del valore di 1.640 euro...
Le aziende leader
Leonardo domina incontrastata con 717 delle 2.186 autorizzazioni nel 2019. Si traducono in 2 miliardi 372 milioni 75 mila 540 euro e 65 cent sul totale di esportazioni che ammonta a 4 miliardi 85 milioni 827.961 e 27 cent con 2.186 autorizzazioni. È l’azienda di Stato che dal 4 luglio 2013 al 18 maggio 2020 è stata affidata a Gianni De Gennaro: comandava la Polizia nel G8 di Genova ed è stato sottosegretario nel governo Monti. Alla presidenza di Leonardo è stato sostituito da Luciano Carta, generale della Finanza e poi direttore del controspionaggio Aise. Amministratore delegato è Alessandro Profumo, già al vertice di Unicredit e Montepaschi.
L’export di armamenti si conferma una sorta di monopolio, perché nelle prime 15 aziende italiane si concentrano 3,7 miliardi e alle altre 115 appena 299 milioni. Oltre a Leonardo, in cima alla graduatoria Elettronica Spa che nel 2019 ha fatturato 225.149.972 con 18 autorizzazioni; Calzoni Srl di Bargellino, la frazione di Calderara di Reno (Bologna) con 177.573.774 milioni e 43 cent (77 autorizzazioni); Orizzonte Sistemi Navali Spa (gruppo Fincantieri, sede di Genova) 172 milioni 600 mila euro con due “licenze”; Iveco Defence Vehicles Spa di Bolzano (169.072.090,58 con 51); Thales Alenia Space Italia Spa (sistema telecomunicazioni Forze Armate, 2.300 dipendenti fra Firenze, Roma, Chieti, Milano, Varese, L'Aquila e Torino) con 143.404.748 e 3 autorizzazioni.
Infine, merita sempre attenzione Pietro Beretta Spa, fabbrica d’armi di Gardone Val Trompia fondata nel 1526: fattura oltre 650 milioni di euro all’anno e nel 2019 contava anche sul “valore doganale” di 6.864.322 e 99 cent delle esportazioni censite nella relazione.
Il tour di Mauro
Dall’autunno 2013 alla primavera 2014 la portaerei Cavour e altre tre navi fanno rotta verso il Medio oriente e l’Africa. È un vero e proprio “tour commerciale”. Confermava il ministro della Difesa, Mario Mauro: «Mettiamo in vetrina il Sistema Italia con i suoi prodotti straordinari». In sostanza si offrivano gli elicotteri AgustaWestland, i cannoni Oto Melara, i siluri Wass, i missili Mbda, i sistemi di controllo Selex e le armi Beretta...
Il “boom” con Renzi
Risale a un lustro fa la massima esplosione delle armi made in Italy. Nel 2016 (con Matteo Renzi premier e Roberta Pinotti ministro della Difesa) si registra il record di 14,6 miliardi di euro con un incredibile aumento dell’85,7 per cento in un solo anno. Il governo autorizza, in particolare, un’intesa tutt’altro che ineccepibile. L’allora Finmeccanica s’impegna nella commessa di 28 Eurofighter Typhoon che vale 7,3 miliardi. Destinazione Kuwait, l’emirato arabo alleato dell’Arabia Saudita durante la guerra civile nello Yemen per soffocare i ribelli sciiti Huthi.
L’intesa “sottomarina” con Berlino
Il 10 marzo 2017 a Coblenza il contrammiraglio Ruggiero Di Biase firma il nuovo memorandum. Due mesi dopo a Muggiano (La Spezia) viene varato il quarto esemplare del sommergibile U-212 A, classe Todaro. Fa parte della flottiglia nata dalla joint-venture tra Fincantieri e ThyssenKrupp Marine Systems. Ogni “pezzo” costa 168 milioni di euro. Ma con Berlino scatta un’intesa nell’intesa: il baratto a somma zero. Come spiega la Marina militare: «Si è garantito un equivalente ritorno occupazionale per l’intero comparto industriale italiano imponendo un off-set del 100 per cento, il che significa che per ogni ordine di lavoro emesso da Fincantieri deve seguire un equivalente volume di ordini dalla Germania verso le nostre industrie (non solo difesa)».
La legge 185...
Il numero 6/2020 della rivista promossa dall’Iriad, l’Istituto di ricerche internazionali Archivio disarmo, traccia un bilancio della normativa entrata in vigore a luglio 1990: «Rappresentava un traguardo importante nel tentativo di realizzare un quadro giuridico omogeneo relativo alle esportazioni dei materiali di armamento. Inoltre si collocò all’avanguardia sul piano internazionale, divenendo un punto di riferimento importante per le successive norme sia a livello europeo (Codice di Condotta, 1998; Posizione Comune 2008/944/PESC), sia a livello mondiale (ATT, 2014) che sono intervenute in tale ambito».
...E la realtà
E Maurizio Simoncelli, co-fondatore dell’Istituto, sottolinea: «Secondo fonti industriali, il settore occupa direttamente 45 mila addetti, più altri 110 mila nell’indotto diretto e indiretto. Ha un fatturato di 13,5 miliardi. Ma in base ai dati del Ministero degli esteri sappiamo che la media annuale dell’export nell’ultimo decennio è di circa 6 miliardi, cifra che fa ritenere quelle fornite da parte industriale non congrue. Pur essendo un settore ad alta tecnologia, è comunque un ramo di nicchia: solo il nostro export agroalimentare è arrivato nel 2019 a ben 44,6 miliardi con 1,1 milione di occupati».
"Passi di pace" per sette Diocesi
Sono sette le Diocesi del Triveneto che hanno dato vita all'iniziativa "Passi di pace" per il disarmo e contro la finanza armata. Per i prossimi appuntamenti visitare la pagina Facebook dedicata alla rassegna oppure pastoralesociale.diocesipadova.it
Hit show
Hit Show è la vetrina delle armi, sportive e non in calendario dal 17 al 19 aprile alla Fiera di Vicenza. L’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal) e la Rete Italiana Pace e Disarmo ne hanno chiesto la cancellazione. le due organizzazioni contestano in particolare la presenza nelle scorse edizioni di armi non conformi alle finalità dichiarate della manifestazione “dedicata alla caccia, al tiro sportivo e all’outdoor”. Chiedono pertanto l'esclusione delle armi per la difesa personale, corpi di polizia e sicurezza pubblica e privata o armi di guerra a uso collezionistico. Non solo Opal e Rete italiana Pace e Disarmo chiedono anche che sia proibito esporre materiali pubblicitari per formazioni di tipo paramilitare e mercenario, e vietato ogni tipo di attività a iniziative di rilevanza politica (raccolta di firme, petizioni.
Molto scalpore aveva fatto, gli scorsi annni, anche la presenza all'interno della fiera di minori, seppur accompagnati.