Il recupero che conviene. C’è tutto un indotto che ha fiutato l’affare e che si è strutturato per dare una seconda vita a ciò che produciamo
Quanti materiali interessanti e costosi contiene un’auto, soprattutto se del tutto o parzialmente elettrica? Una vera miniera che sarebbe assurdo, oltre che dannoso ecologicamente, gettare in una discarica.
Fino a ieri: si costruiva e si gettava. Da oggi in poi: si costruisce e si recupera. Un cambiamento epocale, dettato non solo da motivazioni culturali o etiche. È più conveniente – anzi in alcuni casi necessario – adottare i principi dell’economia circolare, secondo i quali addirittura si pianifica l’intero ciclo di vita di un prodotto. Così già in sede di progettazione si scelgono determinati materiali che abbiano una chiara destinazione finale (la moda ad esempio fino a ieri è stata la più grande produttrice di beni non recuperabili); si selezionano sempre di più prodotti che non inficiano il successivo recupero; si predispone la catena di controllo dell’intero ciclo di vita fino a creare addirittura strutture adibite a riciclare il più possibile.
Questo vale in agricoltura e nel settore di trasformazione agroalimentare – dove scarti e residui o trovano nuovi utilizzi o diventano fonti energetiche (biometano) e compost fertilizzante –, ma anche in quei templi dell’industria “classica” che sono le fabbriche di automobili.
E così non stupisce che Stellantis abbia deciso di convertire la storica Mirafiori di Torino in un centro di rigenerazione di componenti elettroniche e meccaniche, dello smantellamento delle vecchie auto per il recupero di pezzi di ricambio, di manutenzione avanzata per le flotte di veicoli. Quanti materiali interessanti e costosi contiene un’auto, soprattutto se del tutto o parzialmente elettrica? Una vera miniera che sarebbe assurdo, oltre che dannoso ecologicamente, gettare in una discarica. E vogliamo parlare di metalli e minerali preziosi contenuti nelle batterie (di smartphone, computer, autoveicoli e quant’altro) o negli impianti elettrici che fanno funzionare migliaia di prodotti vari?
C’è tutto un indotto che ha fiutato l’affare e che si è strutturato per dare una seconda vita a ciò che produciamo, che poi in molti casi è la seconda di una serie infinita di vite. In qualche caso è la stessa legge a prevedere che olii industriali, pneumatici o componenti elettrici entrino dentro un concetto pratico di economia circolare: si produce, si recupera, si riutilizza.
Le risorse della Terra non sono infinite: non ci voleva il genio della lampada per farcelo capire. La vera questione è un’altra: il “privato” si sta attrezzando e sta sposando ambientalismo con fatturati, scelte ecologiche con risparmi concreti. Il pubblico invece ancor oggi non riesce a trasformare la banale “monnezza” in una risorsa, in una miniera di opportunità piuttosto che in un attentato all’ambiente e alla salute collettiva. Così ci sono Comuni veneti che differenziano oltre l’80% dei rifiuti raccolti, e la provincia di Palermo ferma al 29%. Il resto in discarica come al tempo degli antichi Romani. E di quelli moderni.