Il Libano tra tracollo economico, razionamenti e pandemia: “Un paese fallito”

Marco Pasquini, presidente della ong Armadilla ed esperto di Medio Oriente, racconta il contesto libanese dopo il fallimento della Banca Centrale e con la crisi dei profughi siriani che sta pesando sempre di più sulla popolazione. “Ora con gli scontri tra Israele e Palestina la situazione potrebbe precipitare da un momento all’altro”

Il Libano tra tracollo economico, razionamenti e pandemia: “Un paese fallito”

“Il Libano è la cartina di tornasole dell’area mediorientale, di conseguenza anche la guerra tra Israele e Palestina non può non coinvolgere e preoccupare molti libanesi. La situazione al confine sud è ancora abbastanza tranquilla: gli Hezbollah per ora non hanno intenzione di entrare nel conflitto, e anche il governo israeliano non sembra intenzionato a coinvolgerli e avere un fronte in più su cui combattere. Comunque la situazione va monitorata, perché potrebbe precipitare da un momento all’altro: ad esempio qualche giorno fa sono stati lanciati razzi rudimentali dal sud del Libano in Israele”. Marco Pasquini, presidente della ong Armadilla ed esperto di Medio Oriente, racconta così come il contesto del Libano sia stata minato negli ultimi due anni da sconvolgimenti politici, economici e sociali, aggravati ulteriormente dall’instabilità internazionale della regione. 

Dal punto di vista politico, la situazione è bloccata: è da un anno che il governo è dimissionario e che va avanti gestendo solo l’ordinaria amministrazione, dato che i due partiti che hanno ottenuto più seggi alle elezioni non riescono a trovare un accordo, anche perché devono rispondere a pressioni di governi stranieri di influenza nell’area. “A tutto questo si aggiunge l’emergenza umanitaria dei profughi siriani, che da otto anni pesano sulle spalle della popolazione libanese senza che ci sia un reale programma di accoglienza: la loro presenza incide sull’economia dei villaggi, sull’utilizzo dell’acqua, sui rifiuti, sull’accesso alla sanità – spiega Pasquini –. E le autorità territoriali non ricevono un soldo dal governo centrale per gestire la situazione. Oggi si stanno verificando violenze nel nord del paese, nella zona di Tripoli, tra gruppi libanesi e gruppi siriani: si tratta di un’area molto povera, dove sono presenti anche cellule Isis”.

Con l’arrivo della pandemia, la situazione è precipitata: nel paese non esiste una sanità pubblica e le cliniche private non stanno investendo per affrontare l’emergenza sanitaria. “Inizialmente i libanesi guardavano gli italiani come gli untori, poi hanno capito che anche loro non erano immuni al Covid-19 –racconta Pasquini –. Ora i numeri sono preoccupanti, ancor più visto che le statistiche ufficiali non tengono conto della popolazione non libanese che vive nel paese, che comunque rappresenta circa un 30 per cento del totale. Eppure, il coronavirus non controlla il passaporto prima di colpire”. Chi ha la febbre, poi, non si può permettere un tampone, che comunque ha dei costi abbastanza alti. La campagna di vaccinazione è ancora molto indietro e solo il 2 per cento della popolazione è stato vaccinato, tra i vaccini forniti dallo stato (che ha acquistato lo Sputnik russo) e quelli a pagamento, comprati da imprese private. “Nei campi profughi, parlare di mascherine, lavaggio frequente delle mani e distanziamento sociale è praticamente impossibile – continua Pasquini –. La pandemia è stato il colpo mortale per un paese già al collasso”.

A marzo del 2020, la Banca Centrale libanese è andata in default per non aver rimborsato un prestito internazionale, e oggi i grandi investitori finanziari considerano i titoli libanesi quasi spazzatura. La conseguenza è stata un tracollo di tutto il sistema bancario. Oggi le esportazioni e le importazioni sono bloccate, visto che lo stato non possiede valuta. E questo crea fortissime ripercussioni a livello sociale: chi aveva un conto in banca in dollari, da un giorno all’altro si è visto bloccare i risparmi. I lavoratori vengono pagati in lire libanesi, ma il cambio con i dollari è passato da 1.500 a 12.000 lire, con un calo drastico del proprio potere d’acquisto. “Da ottobre 2019 a marco 2021 sono stati ritirati cash 3 miliardi e 350 milioni di dollari – afferma Pasquini –. Questo cosa significa? Significa che le banche si sono svuotate di valuta e ci sono montagne di denaro contante in circolazione, oltre a quello uscito dal paese. La gente sopravvive con un minimo di scorta di quello che aveva in banca”.

Parallelamente, si sta assistendo a razionamenti dei beni di prima necessità nei supermercati (ad esempio è concesso al massimo 1 kg di farina a settimana) e sta fiorendo un mercato nero parallelo. “Alle famiglie vengono dati dei sussidi, che però non arrivano dal governo centrale, bensì da gruppi religiosi e politici legati al mondo musulmano e cristiano – conclude Pasquini –. C’è un razionamento della benzina, sempre più difficile da reperire, che viene venduta sul mercato nero: qui scarsità di gasolio significa anche scarsità di elettricità, perché non si sa più con cosa alimentare i generatori”. Oltre a questo, il settore economico legato alla ricostruzione edilizia si è fermato, e moltissimi cantieri sono stati congelati: migliaia di persone hanno perso il lavoro, e centinaia di imprese sono fallite. “La comunità internazionale ha bloccato qualsiasi tipo di aiuto, almeno finché non verrà superata la paralisi politica che blocca la formazione di un nuovo governo – conclude Pasquini –. Siamo di fronte a un paese praticamente fallito, abbandonato in una situazione di stallo che danneggia soprattutto la popolazione civile”.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)