Fermo della nave Geo Barents, Msf: “Determinati a tornare a salvare vite in mare”
Duccio Staderini, responsabile delle attività di ricerca e soccorso di Msf: “Navi umanitarie bloccate mentre in mare si continua a morire. Chiediamo il tempestivo rilascio della nave per riprendere azione salvavita”. In soli 6 mesi dall’inizio del 2021, almeno 721 persone risultano morte o disperse nel Mediterraneo
Mentre le navi umanitarie vengono bloccate, centinaia di vite si perdono nel Mediterraneo centrale. È il monito di Medici Senza Frontiere (Msf) dopo il fermo della Geo Barents, l’ultima nave umanitaria bloccata in un porto italiano proprio mentre in mare si consumava l’ennesimo naufragio, il secondo in pochi giorni. Msf chiede alle autorità italiane il tempestivo rilascio della Geo Barents perché possa tornare al più presto a salvare vite in mare.
Venerdì scorso 2 luglio, nel porto di Augusta, alla fine di un'ispezione durata 14 ore, la nave di ricerca e soccorso di Msf è stata sottoposta a fermo amministrativo a seguito dell’individuazione di 22 non-conformità, 10 delle quali sarebbero alla base del provvedimento. “Siamo pronti a effettuare tutti gli adeguamenti necessari – afferma Msf -, ma siamo consapevoli che le ispezioni sono diventate un mezzo per perseguire obiettivi politici dietro la forma di procedure amministrative. Msf è scesa in mare a maggio con la Geo Barents, pienamente equipaggiata e certificata per svolgere attività di ricerca e soccorso, nel rispetto delle leggi e dei regolamenti previsti dalle autorità marittime competenti”.
“I team a bordo hanno effettuato una serie di soccorsi dal 10 al 12 giugno, salvando 410 persone estremamente provate e con diversi casi vulnerabili – continua l’organizzazione -. Tra loro 16 donne, di cui sei viaggiavano sole e una era incinta, oltre a 101 minori non accompagnati. La maggior parte di loro proveniva da paesi devastati dalla guerra, come Siria, Etiopia, Eritrea, Sudan, Mali”.
L’accusa: “Accanimento delle autorità italiane”
Per Msf, “il blocco della Geo Barents è l'ennesima prova dell’accanimento amministrativo delle autorità italiane e delle misure punitive sistematicamente adottate per bloccare l’azione umanitaria in mare. Dal 2019 ad oggi, le autorità italiane hanno condotto 16 ispezioni sulle navi umanitarie, portando 13 volte a un fermo amministrativo, per un totale di 1078 giorni in cui queste navi non hanno potuto salvare vite in mare”.
“I controlli dello Stato di approdo sono procedure legittime, sviluppate per garantire la sicurezza della navigazione, ma queste ispezioni vengono strumentalizzate delle autorità per colpire le navi umanitarie in modo discriminatorio. L’unica conclusione possibile è che tutto questo è giustificato da motivi politici - dichiara Duccio Staderini, responsabile delle attività di ricerca e soccorso di Msf -. Le lunghe e meticolose ispezioni delle navi umanitarie hanno l’obiettivo di individuare qualunque tipo di irregolarità per impedire che riprendano la loro azione salvavita. Siamo di fronte a una terribile realtà: mentre le navi umanitarie vengono bloccate, continuiamo a perdere vite nel Mediterraneo”.
Oltre a una serie di inadempienze minori che si possono facilmente rettificare, le autorità italiane contestano l’adeguatezza della nave nel condurre sistematica attività di ricerca e soccorso. “Ma il diritto internazionale non prevede una specifica classificazione internazionale per le navi di soccorso umanitarie e la sistematicità degli interventi è causata innanzitutto dal mancato adempimento degli obblighi di soccorso da parte delle autorità competenti – continua Msf -. I rilievi sull’eccessivo numero di persone a bordo non tengono inoltre in considerazione le clausole di esonero che la stessa Convenzione SOLAS per la salvaguardia della vita umana in mare (art. IV.b) contempla in stato di necessità e per causa di forza maggiore in caso di recupero e trasporto di naufraghi”.
In 6 mesi, almeno 721 persone risultano morte o disperse nel Mediterraneo
Continua l’organizzazione: “Mentre piangiamo ancora le vittime dell’ultimo naufragio a poche miglia da Lampedusa, arrivano notizie di un altro naufragio al largo della Tunisia, e i corpi di donne a bambini stanno raggiungendo le coste libiche. In soli 6 mesi dall’inizio del 2021, almeno 721 persone risultano morte o disperse nel tentativo di attraversare la rotta migratoria più letale al mondo”.
In meno di 48 ore, il 10, 11 e 12 giugno 2021, la Geo Barents di Msf ha soccorso 410 persone in 7 salvataggi non-stop di imbarcazioni in pericolo. Sono state soccorse da precarie barche di gomma, legno e vetroresina mentre cercavano di attraversare il Mediterraneo centrale. Tra le 410 persone soccorse dall’annegamento c’erano 12 donne di cui una incinta, 299 maschi adulti, 99 minori di cui 91 viaggiavano soli.
Il Piano di azione e le richieste di Msf
Determinata a tornare in mare il prima possibile, Msf presenterà un piano di azione per adeguare velocemente le irregolarità tecniche contestate dalle autorità, chiedendo contestualmente l’immediata revoca dell’ordine di fermo, come previsto dalle procedure esistenti (art. 22 del D. Lgs. 53/2011). In caso di rifiuto, Msf si riserva di intraprendere ulteriori iniziative per contestare il provvedimento di fronte al TAR e chiedere un indennizzo dei danni subiti “come risultato del fermo indebito della nave e dei ritardi nella ripartenza (spese del noleggio, stipendi del personale e altri costi vivi)”.
“La Geo Barents è in mare per la vergognosa assenza di una capacità di soccorso guidata dagli stati lungo il confine marittimo più letale al mondo. Nel frattempo, gli Stati Ue sostengono la pericolosa guardia costiera libica e bloccano gli sforzi delle organizzazioni nel riempire quel drammatico vuoto. Msf farà tutto il possibile per tornare al più presto a salvare vite in mare”.
Msf chiede alle autorità italiane il rilascio tempestivo della nave di ricerca e soccorso Geo Barents, come previsto dalle procedure esistenti. “Gli stati e le istituzioni europei devono porre fine al più presto al loro supporto politico e materiale alla guardia costiera libica, che porta a un sistema di intercettazioni e ritorni forzati in Libia – chiede l’organizzazione -. Gli stati membri dell’Ue devono urgentemente indagare su ogni segnalazione di respingimenti e altri ritorni illegali. La guardia costiera libica finanziata dall’Ue ha dimostrato in molte occasioni che i propri comportamenti violenti e l’incapacità di condurre e coordinare operazioni SAR mettono le vite delle persone in pericolo e causano nuove morti”.