Cuba vota la nuova Costituzione. P. Cela (gesuiti): “Passi avanti e debolezze di un processo in costruzione”
La rinnovata Costituzione cubana attende di passare al vaglio del voto dei cittadini, chiamati a esprimersi domenica 24 febbraio su un testo che è stato discusso a lungo e con un certo coinvolgimento della cittadinanza. Un passaggio importante, a quasi un anno dall’avvento alla presidenza di Miguel Díaz Canel al posto di Raúl Castro, anche se certamente la campagna non viene celebrata con metodi democratici e nessuno mette in discussione la vittoria del Sì
C’è un timido approccio verso la proprietà privata, ma anche la conferma del socialismo e del comunismo come sistema di Stato. Un decentramento dello Stato, ma anche il permanere del Partito unico. Il riconoscimento di famiglia e società, cui si aggiunge però una velata apertura ai matrimoni ugualitari. La rinnovata Costituzione cubana attende di passare al vaglio del voto dei cittadini, chiamati a esprimersi domenica 24 febbraio su un testo che è stato discusso a lungo e con un certo coinvolgimento della cittadinanza. Un passaggio importante, a quasi un anno dall’avvento alla presidenza di Miguel Díaz Canel al posto di Raúl Castro, anche se certamente la campagna non viene celebrata con metodi democratici e nessuno mette in discussione la vittoria del Sì.
“La redazione di una riforma della Costituzione risponde a una necessità creata dal processo di cambiamento iniziata dal presidente Raúl Castro, processo che ora si vuole istituzionalizzare”, spiega al Sir padre Jorge Cela Carvajal, gesuita cubano responsabile dei centri educativi Loyola presenti nell’isola, già presidente della Cpal (Conferenza dei provinciali gesuiti dell’America Latina). Parte di questo processo “corrisponde all’apertura agli investimenti stranieri e all’intento di migliorare l’immagine pubblica della nazione. Riflette, pertanto, i passi in avanti e le debolezze di un processo ancora in costruzione”. Insomma, prosegue il gesuita,
“la rivoluzione cubana affronta una sfida difficile: la svolta a destra nella politica internazionale, la debolezza degli storici alleati latinoamericani, soprattutto il Venezuela, la difficoltà di superare la prolungata crisi della sua economia, il ricambio generazionale della leadership nel momento in cui si spezza l’unità ideologica.
Questa riforma rappresenta un nuovo sforzo per confermare il processo di cambiamento, però riflette la sua debolezza e lentezza”.
Pluralismo ancora lontano. Una situazione, quest’ultima, che risalta in non pochi commenti. La stessa Conferenza dei vescovi cattolici cubani (Cocc), in una nota diffusa qualche settimana fa, pur invitando a votare “secondo coscienza”, sostiene che il riferimento esplicito a una sola dottrina, quella socialista, “esclude l’esercizio effettivo del diritto alla pluralità di pensiero sull’uomo e sull’ordine della società”. In tale contesto, chi già prima era critico con il regime, non cambia certo idea rispetto al nuovo testo, come la celebre blogger Yoani Sanchez, che, contattata dal Sir, spiega il suo No: “È una Costituzione che non rispetta il pluralismo e mantiene la società sotto il controllo del Partito comunista. Non si tratta di sperare che il No possa vincere, ma di mandare un segnale”.
E un giovane, attivo a livello ecclesiale, ci consegna sotto anonimato questa analisi: “I giovani sono in gran maggioranza apolitici, sono pochi coloro che si preoccupano per il referendum, anche perché in generale tutti danno per scontato che la Costituzione sarà approvata. Qui il partito controlla tutto. Molti mi hanno detto che voteranno no, ma sanno già che non serve a nulla. È triste sapere che non abbiamo il potere né formale né effettivo di cambiare qualcosa nel nostro Paese, è triste vedere che molti cercano un futuro lontano da Cuba”.
Novità e limiti. Quali sono, dunque, le novità vere e quelle mancate della Costituzione del post castrismo? “Dicono che i nostri maggiori difetti nascono dalle nostre migliori virtù. Così – spiega padre Cela -, le maggiori novità del nuovo testo costituzionale hanno a che vedere con i suoi maggiori limiti. La prima novità è la definizione dello Stato cubano come ‘socialista di diritto e giustizia sociale’.
Si passa dal Governo carismatico e centralizzato al primato istituzionale della legge.
A questo va aggiunta l’incorporazione dei diritti umani nel testo della Costituzione”. Tuttavia, “molti di questi diritti appaiono compromessi, per esempio il diritto di associazione e libertà di pensiero sono limitati dall’imposizione del partito unico e dell’ideologia marxista leninista e dall’assenza del riconoscimento delle associazioni civili non dipendenti dallo Stato; il diritto alla libera espressione è limitato dalla concentrazione di tutti i media in mano allo Stato; il diritto alla libertà religiosa si limita all’ambito privato delle credenze religiose, ma non permette l’attività pubblica religiosa, il libero accesso ai mezzi di comunicazione, il possesso di proprietà, le attività educative, ecc”.
La “seconda novità è lo sforzo per un maggior decentramento dello Stato, ma si mantiene la pianificazione centralizzata dell’economia e la concentrazione del potere nel Consiglio di Stato. La terza novità è il riconoscimento del ruolo della famiglia e della società”, anche se la formulazione era molto più forte nella prima stesura, nella quale si affermava che “lo Stato, la società e la famiglia sono responsabili dell’educazione”, poi diluita nell’espressione: “L’educazione è responsabilità dello Stato. Nell’educazione hanno responsabilità la società e le famiglie”.
Infine, “una quarta novità è l’introduzione di sette diverse forme di proprietà: statale; cooperativa; mista; delle organizzazioni politiche, di massa e sociali; privata; personale e delle istituzioni e associazioni. Questo principio implica una completa revisione del concetto del socialismo, ma avrà bisogno di ulteriori leggi per essere applicato, pur essendo conforme ai recenti cambiamenti nell’economia cubana. L’enfasi nel carattere sociale delle diverse forme di proprietà è stata apprezzata nella recente lettera dei vescovi. Tuttavia, come essi stessi segnalano, appare strano che si privilegino gli investimenti stranieri e si metta un freno a quelli nazionali”.
Bruno Desidera