Cresce la povertà assoluta: colpisce 1 milione 960 mila famiglie

I dati del Rapporto annuale Istat. L’incidenza è diminuita tra gli anziani soli ed è cresciuta tra le coppie con figli. Sono circa 2 milioni 800 mila (il 10,7% del totale) le famiglie che hanno un componente con disabilità, la cui presenza comporta una minore partecipazione al mercato del lavoro

Cresce la povertà assoluta: colpisce 1 milione 960 mila famiglie

Dal 2005 la povertà assoluta è più che raddoppiata: le famiglie coinvolte sono passate da poco più di 800 mila a 1 milione 960 mila nel 2021 (il 7,5% del totale). Per effetto della diffusione più marcata del fenomeno tra le famiglie di ampie dimensioni, il numero di individui in povertà assoluta è quasi triplicato, passando da 1,9 a 5,6 milioni (il 9,4% del totale). Sono i dati del Rapporto annuale Istat 2022 pubblicato oggi.

La connotazione delle famiglie in povertà assoluta è progressivamente cambiata dal 2005. L’incidenza è diminuita tra gli anziani soli, si è stabilizzata tra le coppie di anziani, è fortemente cresciuta tra le coppie con figli, tra i monogenitori e tra le famiglie di altra tipologia (famiglie con due o più nuclei o con membri aggregati). Una dinamica particolarmente negativa in termini di povertà assoluta si osserva per i minori (dal 3,9% del 2005 al 14,2% del 2021) e i giovani di 18-34 anni (dal 3,1% all’11,1%). Nel 2021 sono in povertà assoluta 1 milione 382 mila minori, 1 milione 86 mila 18-34enni e 734 mila anziani (tra i quali l’incidenza nel tempo rimane sostanzialmente stabile e nel 2021 si attesta al 5,3%). Si conferma e si amplia nel tempo la netta stratificazione della povertà per area geografica, età e cittadinanza. Nel 2021 è in condizione di povertà assoluta un italiano su venti nel Centro-nord, più di un italiano su dieci nel Mezzogiorno e uno straniero su tre nel Centro-nord (il 40% nel Mezzogiorno); tra le famiglie con minori, si trova in povertà assoluta l’8,3% delle famiglie di soli italiani e ben il 36,2% di quelle di soli stranieri. Dal 2014 l’aumento del numero di famiglie povere si è associato alla sostanziale stabilità dell’intensità della povertà (ossia “quanto sono poveri i poveri”), pari al 18,7% nel 2021. Le misure di sostegno economico erogate nel 2020, in particolare reddito di cittadinanza e di emergenza, hanno evitato a 1 milione di individui (circa 500 mila famiglie) di trovarsi in condizione di povertà assoluta. Le misure di sostegno hanno avuto effetto anche sull’intensità della povertà che, senza sussidi, nel 2020 sarebbe stata ben 10 punti percentuali più elevata, raggiungendo il 28,8% (a fronte del 18,7% osservato).

In assenza di sussidi nel 2020 l’incidenza di povertà assoluta sarebbe stata marcatamente più elevata per le famiglie residenti nel Sud e nelle Isole (+3,4 e +4,5 punti rispettivamente), per quelle in affitto (+5,3 punti) e con stranieri (+3,5 punti), per i single con meno di 65 anni (+3,1 punti), le coppie con figli (+2,4 punti se i figli sono almeno tre) e i monogenitori (+2,8 punti). Infine l’incidenza avrebbe superato il 30% tra le famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione (ben 11,1 punti percentuali superiore a quella stimata in presenza di sussidi). La forte accelerazione dell’inflazione negli ultimi mesi rischia di aumentare le disuguaglianze poiché la riduzione del potere d’acquisto è particolarmente marcata proprio tra le famiglie con forti vincoli di bilancio. Per questo gruppo di famiglie a marzo 2022 la variazione tendenziale dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo è risultata pari a +9,4%, 2,6 punti percentuali più elevata dell’inflazione misurata nello stesso mese per la popolazione nel suo complesso. L’inflazione che colpisce le famiglie con forti vincoli di bilancio riguarda beni e servizi essenziali, il cui consumo difficilmente può essere ridotto. Oltre agli alimentari vi figura la spesa per l’energia, che questo segmento di famiglie destina per il 63% all’acquisto di beni energetici a uso domestico (energia elettrica, gas per cucinare e riscaldamento). Al contrario, tra le famiglie più benestanti oltre la metà della spesa per energia (55%) va in carburanti e lubrificanti.

L’esperienza della Dad tra difficoltà e opportunità

Da aprile 2020 la crisi sanitaria ha imposto l’utilizzo della didattica a distanza nelle scuole, affiancata dalla didattica digitale integrata nell’anno scolastico 2020/2021. In base a quanto riportato dai dirigenti scolastici, già prima della pandemia poco più del 60% delle scuole secondarie disponeva di un ambiente virtuale/piattaforma per la condivisione dei materiali didattici (escludendo il registro elettronico); nel 38,8% dei casi lo utilizzava solo una parte dei docenti. Quasi il 90% degli istituti privi di tali ambienti/piattaforme sono comunque riusciti ad attivarli nel periodo marzo-giugno 2020 e un ulteriore 10% lo ha fatto, seppur con molte difficoltà, durante l’anno scolastico 2020/2021. Le principali criticità segnalate dai dirigenti scolastici delle scuole secondarie sono l’inadeguatezza della connessione Internet della scuola (50%) e la mancanza di spazi adatti a garantire il distanziamento (45,8%); meno diffuse le criticità legate alla mancanza di arredi e di strumenti informatici adeguati, all’insufficiente aereazione delle aule o all’igienizzazione e disinfezione dei locali. I dirigenti che hanno dichiarato di non aver incontrato alcuna difficoltà ad adeguarsi ai provvedimenti anti-Covid sono poco meno del 20%, quota che scende al 18,5% nel Mezzogiorno e al 13,2% nel Centro. Sebbene già provviste di competenze digitali, il ricorso “obbligato” alla didattica a distanza ha imposto alle nuove generazioni un cambio di passo nell’utilizzo dell’Ict, generando così nuovi elementi di diseguaglianza legati a divari socio-economici e digitali preesistenti la pandemia. Sono poco più di quattro su dieci gli studenti delle scuole secondarie che hanno avuto a disposizione una connessione di ottima qualità; uno studente su due ha lamentato problemi e circa uno su venti ha avuto una connessione di pessima qualità o del tutto assente. Tra gli studenti che giudicano molto o abbastanza povera la propria famiglia, il 78,2% ha lamentato problemi di connessione contro il 44,4% di quanti vivono in famiglie più agiate. Solo il 79,3% dei ragazzi delle scuole secondarie ha potuto seguire le lezioni con continuità fin dall’inizio; tra marzo e giugno 2020 più di 700 mila hanno seguito la didattica solo saltuariamente e 156 mila non hanno ricevuto formazione, con inevitabili conseguenze negative sui livelli di apprendimento che probabilmente dureranno nel tempo.

Le scuole, insieme ad altre strutture pubbliche e del privato sociale, hanno cercato di sostenere i ragazzi più svantaggiati mettendo a disposizione pc e tablet. Nonostante ciò, nel Mezzogiorno solo otto studenti su dieci si sono collegati tramite il pc per seguire on line le lezioni nell’anno scolastico 2020/2021 - una quota più bassa di 5 punti rispetto a quelle del Centro e del Nord - e molto più diffuso è stato l’utilizzo dello smartphone, in modalità esclusiva o combinata ad altri dispositivi comunque poco idonei per la didattica a distanza. I ragazzi stranieri sono stati più penalizzati sia per la minore continuità della DAD nella seconda parte dell’anno scolastico 2019/2020 sia per la maggiore difficoltà a seguire le lezioni nell’anno successivo: la percentuale di chi ha utilizzato il pc è più bassa rispetto a quella degli italiani (72,1% contro 85,3%) mentre è più alta quella sull’uso esclusivo dello smartphone (16,8% contro 6,8%). Tali divari si ampliano ulteriormente nel Mezzogiorno. Le prove Invalsi condotte nell’anno scolastico 2020/2021 evidenziano una perdita generalizzata degli apprendimenti di italiano e matematica. La perdita diventa più evidente al crescere del grado di istruzione: tra gli studenti di scuola secondaria di secondo grado i livelli di competenza raggiunti nel 2021 per l’italiano sono inadeguati in 44 casi su 100, per la matematica in 51 casi su 100. In Italia, grazie anche alle misure messe in atto in questi ultimi due anni per affrontare l’emergenza sanitaria (incluso il “voucher connettività” introdotto nel 2020 a sostegno delle famiglie meno abbienti) la diffusione e la frequenza dell’uso di Internet nei diversi ambiti della vita quotidiana hanno registrato un deciso aumento, riducendo il gap con il resto d’Europa (la distanza dalla media Ue si è ridotta da 10 a 7 punti percentuali).

Disabilità e disuguaglianza: causa o effetto?

In Italia sono circa 2 milioni 800 mila (il 10,7% del totale) le famiglie che hanno un componente con disabilità, la cui presenza comporta una minore partecipazione al mercato del lavoro. Tra le persone di 15-64 anni con limitazioni gravi gli occupati sono un terzo (media 2020-2021), ossia la metà rispetto alla popolazione senza limitazioni. Il gap di occupazione si riflette anche a livello familiare: tra i 35-64enni che vivono con persone con disabilità gli occupati sono solo il 58,6% contro il 69,4% di chi non ha conviventi con limitazioni. Nel 2019, le famiglie in cui sono presenti persone con disabilità hanno un reddito medio disponibile di circa il 5% inferiore a quello delle altre famiglie e in circa la metà dei casi ricevono trasferimenti economici; senza tali trasferimenti il rischio di povertà tra le famiglie con persone con disabilità salirebbe dal 20% al 32,8%. Ben un quinto delle persone con limitazioni gravi si dichiara in cerca di occupazione (contro il 13,5% delle persone senza limitazioni) e oltre un quarto se hanno tra 25 e 44 anni (contro il 16,4%). Tra le donne con limitazioni gravi la quota delle disoccupate è simile a quella registrata tra le donne senza limitazioni (13,6% rispetto a 12,2%), mentre molto più elevata è la quota di chi si dichiara inattiva (41,3% rispetto a 25,7%), a indicare sintomi di un marcato scoraggiamento nella ricerca di occupazione. Alle pre-esistenti difficoltà, strutturali e non, del sistema scolastico nel gestire la disabilità, negli anni più recenti si sono aggiunte le problematiche legate all’emergenza sanitaria. Tuttavia, nell’anno scolasatico 2020-2021 l’inclusione nella vita scolastica dei giovani con disabilità è decisamente migliorata: la quota di esclusi, pari al 23% l’anno precedente, è scesa al 2% (al 3% nelle scuole del Sud, con i massimi del 4% in Calabria e Campania). Sono quasi 7 mila i ragazzi con disabilità esclusi dalle lezioni online. Tra le motivazioni che ne hanno determinato l’esclusione le scuole segnalano più frequentemente: la gravità della patologia, il disagio socio-economico e la difficoltà organizzativa della famiglia, la mancanza di strumenti tecnologici adeguati.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)