Corruzione. Transparency International: “L’Italia al 52° posto. Su tutti i Paesi ha pesato l’emergenza Covid-19”
Secondo l'Indice di percezione della corruzione (Cpi) 2020 pubblicato giovedì 28 gennaio da Transparency International, Danimarca e Nuova Zelanda continuano ad attestarsi tra i Paesi più virtuosi. In fondo alla classifica, Siria, Somalia e Sud Sudan
L’Indice di percezione della corruzione (Cpi) 2020 pubblicato giovedì 28 gennaio da Transparency International classifica l’Italia al 52° posto sui 180 Paesi oggetto dell’analisi. Con l’edizione 2020 Transparency International ha stilato una classifica di 180 Paesi e territori sulla scorta del livello di corruzione percepita nel settore pubblico. La valutazione è fatta sulla base di 13 strumenti di analisi e di sondaggi ad esperti provenienti dal mondo del business. Il punteggio finale è determinato in base ad una scala da 0 (alto livello di corruzione percepita) a 100 (basso livello di corruzione percepita). Danimarca e Nuova Zelanda continuano ad attestarsi tra i Paesi più virtuosi, con un punteggio di 88. In fondo alla classifica, Siria, Somalia e Sud Sudan, con un punteggio, rispettivamente, di 14, 12 e 12.
“In quasi un decennio e in circa due terzi dei Paesi, il progresso nella lotta alla corruzione non è stato significativo e le misure, quando adottate, non si sono rivelate del tutto efficaci. In tale arco temporale più dei due terzi dei Paesi hanno ottenuto un punteggio inferiore a 50 e quasi la metà di essi è rimasta ferma sui valori iniziali dell’Indice”. Questa la fotografia generale offerta da Iole Anna Savini, presidente di Transparency International Italia, in una conferenza on line, su Zoom, per la presentazione del Cpi 2020. Per quanto riguarda
“l’Italia si è classificata al 52° posto sui 180 Paesi oggetto dell’analisi. Il nostro Paese, dunque, pur mantenendo il punteggio (53) attribuitogli nell’edizione 2019, perde una posizione in graduatoria”,
ma “resta arancione, nell’immagine a livello planetario che fotografa anche visivamente l’indice di percezione della corruzione, con il rosso che indica la situazione più compromessa”.
“Il Cpi 2020 segna un rallentamento del trend positivo che aveva visto l’Italia guadagnare 11 punti dal 2012 al 2019, pur confermandola al 20° posto tra i 27 Paesi membri dell’Unione europea”, ha sottolineato Savini.
Negli ultimi anni “l’Italia ha compiuto significativi progressi nella lotta alla corruzione: ha introdotto il diritto generalizzato di accesso agli atti rendendo più trasparente la Pubblica Amministrazione ai cittadini, ha approvato una disciplina a tutela dei whistleblower, ha reso più trasparenti i finanziamenti alla politica e, con la legge anticorruzione del 2019, ha inasprito le pene previste per taluni reati”. La presidente di Transparency ha rilevato che
“l’emergenza sanitaria globale ha evidenziato come la corruzione abbia rappresentato un ostacolo al superamento della crisi,
a partire dalla gestione della pandemia, passando attraverso l’approvvigionamento dei dispositivi medici e la fornitura dei servizi sanitari. In tale contesto si è resa ancora più evidente l’importanza della trasparenza e delle misure anticorruzione al fine di far fronte in modo efficace a situazione di emergenza”. Savini ha, quindi, ricordato che “l’analisi ha dimostrato che i Paesi con un Cpi più elevato sono incorsi in minori violazioni delle norme quando si è trattato di rispondere alle esigenze per fronteggiare la crisi pandemica”.
“L’Indice inoltre evidenziato che i Paesi con un più alto livello di corruzione hanno orientato la spesa pubblica in misura inferiore verso i servizi pubblici essenziali, quali la sanità”,
ha denunciato la presidente di Transparency.
Nel suo intervento, Giuseppe Busia, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), ha innanzitutto precisato che gli indici servono a focalizzare strumenti per la prevenzione della corruzione e ha anticipato: “Stiamo lavorando per implementare strumenti oggettivi da affiancare a quelli riguardanti solo la percezione”.
“In Italia aver tenuto la posizione nell’Indice di percezione della corruzione, in un contesto di accresciuto rischio di corruzione legato alla pandemia, è il segno che abbiamo costruito qualcosa di solido, anche grazie ad alcuni interventi legislativi recenti e ad alleanze contro la corruzione e a iniziative che hanno visto Anac protagonista”, ha aggiunto, evidenziando che “il bicchiere è mezzo pieno, ora bisogna riempirlo”.
Ma come? Busia non ha negato che un punto centrale riguarda i contratti pubblici dove c’è una spesa discrezionale: “Dobbiamo guardare al dato di Transparency con l’ottimismo della volontà, necessario a ripartire per guadagnare migliori posizioni nella classifica, accrescendo il livello di trasparenza sulla spesa pubblica e in particolare sui contratti pubblici”, ha precisato evidenziando il ruolo centrale dell’Anac, anche grazie “al potenziamento della nostra banca dati nazionale dei contratti pubblici, che rappresenta un modello a livello globale”. In questo modo “possiamo rendere trasparente l’utilizzo che verrà fatto dei fondi Next Generation Eu, consentendo alle istituzioni e a tutti i cittadini di verificare puntualmente come saranno utilizzati questi fondi, evitando che siano non solo sottratti alla collettività, ma anche sprecati invece che destinati a vantaggio delle prossime generazioni”. Anche la digitalizzazione è “un passaggio essenziale su cui bisogna investire sul quale impegnare anche parte del Recovery fund, come infrastruttura del Paese.
La digitalizzazione è strumento per mettere insieme non solo la prevenzione della corruzione, la trasparenza, la concorrenza e l’apertura del mercato e riduzione del rischio della corruzione ma semplifica le attività e favorisce l’utilizzo corretto delle risorse pubbliche e quindi la qualità della spesa”.
Alla presentazione ha partecipato anche Giovanni Tria, già ministro dell’Economia e delle Finanze, che ha precisato: “L’Indice è costruito sulla percezione misurata nella business community e questo è un aspetto importante perché è la percezione è a determinare i comportamenti riguardati le scelte economiche e gli investimenti stranieri in un Paese”. Perciò,
“se c’è una percezione alta della corruzione in Italia da parte del mondo degli affari, anche se ciò non rispondesse alla verità, un investitore straniero potrebbe decidere di non investire per non essere implicato in indagini per corruzione lunghe dieci anni. Qui entra pure il problema della riforma della giustizia”.