Coronavirus Covid-19: a Gaza crescono i contagi. Caritas Jerusalem in campo con 5 team
È partito il 1 gennaio scorso (fino al 30 giugno 2021) il progetto nato dalla collaborazione tra Caritas Jerusalem (CJ) e Ministero della salute (Moh) di Gaza che vede CJ impegnata in cinque distretti della Striscia (Gaza city, Gaza nord, Gaza centro, Khanyounis e Rafah) “a fornire assistenza sanitaria di base e di emergenza nelle case di persone positive al Covid-19 oltre che di malati di altre patologie”. La campagna sanitaria si rivolge a 10.800 destinatari diretti e 60.480 indiretti (familiari e parenti), per un costo totale di 250mila euro che CJ conta di raccogliere grazie a donor e benefattori. La speranza della popolazione gazawa è quella di vedere presto una campagna di vaccinazione. Ma i tempi sono molto lunghi
È partito il 1 gennaio scorso (fino al 30 giugno 2021) il progetto nato dalla collaborazione tra Caritas Jerusalem (CJ) e Ministero della salute (Moh) di Gaza che vede CJ impegnata in cinque distretti della Striscia (Gaza city, Gaza nord, Gaza centro, Khanyounis e Rafah) “a fornire assistenza sanitaria di base e di emergenza nelle case di persone positive al Covid-19 oltre che di malati di altre patologie”. Il progetto si rivolge a 10.800 destinatari diretti e 60.480 indiretti (familiari e parenti), per un costo totale di 250mila euro che CJ conta di raccogliere grazie a donor e benefattori. Si tratta di un’iniziativa che assume ulteriore valenza anche alla luce delle difficoltà di avviare una campagna di vaccinazione da parte dell’Autorità palestinese, così come di Hamas, al potere nella Striscia di Gaza. I palestinesi stanno cercando di assicurarsi i vaccini da diverse aziende farmaceutiche (AstraZeneca, Johnson and Johnson e Moderna), ma soprattutto da Covax, il progetto globale di assegnazione di vaccini contro il Covid-19 co-guidato dall’Oms e dalla Russia che, a sua volta, ha sviluppato il vaccino Sputnik V. Tuttavia, per l’Olp, Organizzazione per la liberazione della Palestina “questa ricerca non esenta Israele dalle sue responsabilità nei confronti dei palestinesi. Potrebbero volerci mesi prima che il Ministero della Salute palestinese avvii le procedure di immunizzazione. Israele, pertanto, quale potenza occupante, deve garantire che i vaccini siano rapidamente distribuiti alla popolazione palestinese sotto occupazione senza discriminazione e rimuovere ogni blocco verso la Striscia di Gaza”.
L’impegno della Caritas. I primi due casi Covid-19 a Gaza sono stati diagnosticati il 21 marzo, ma il virus è stato contenuto nei centri di quarantena fino all’inizio di agosto, quando sono stati diagnosticati alcuni casi nella comunità. Secondo il Ministero della Salute palestinese, al 12 gennaio, il numero totale di casi Covid aveva raggiunto il numero di 46.087 e 453 decessi. “Numeri che – affermano da CJ – possono sembrare relativamente piccoli, ma con una capacità di tamponi molto limitata (la stima è di circa 2000 al giorno) la cifra reale è molto più alta. Lo stesso vale per i decessi correlati a Covid. La salute generale della popolazione gazawa è debole dopo anni di embargo israeliano, di povertà crescente e malnutrizione, di disoccupazione, di sovraffollamento (a Gaza vivono due milioni di persone in 385 Km quadrati, ndr.). I gazawi versano in gravi condizioni igienico-sanitarie, senza acqua potabile e senza riscaldamento. Molti di loro – sottolinea la Caritas – non possono permettersi, per esempio, integratori alimentari per rafforzare il proprio sistema immunitario indebolito”. CJ è da anni impegnata nella Striscia con una serie di servizi alla popolazione che vanno dalle cure di base a quelle odontoiatriche di alta qualità, dalla assistenza medica rivolta ad anziani e bambini a progetti di educazione sanitaria e igienica. I team medici della Caritas sono presenti in 15 località tra le più povere ed emarginate della Striscia molte delle quali vicino al muro di separazione. Sono 4.600 le famiglie attualmente assistite con kit alimentari e igienici. Attivi anche progetti di sostegno ‘Family to Family’ per 100 famiglie molto povere e di reinserimento dei richiedenti asilo le cui domande non sono state accolte.
Contrasto al Covid-19. Per quanto riguarda l’azione di contrasto al Covid-19, Caritas Jerusalem fornisce assistenza ai pazienti contagiati con 5 team mobili (Mobile medical team, Mmt) con il coordinamento del Ministero della Salute (Mho). Quest’ultimo, ad inizio pandemia, aveva chiesto alla Caritas di attivarsi contro la diffusione dei contagi, dapprima nei centri sanitari e, dalla scorsa estate, anche a domicilio, per trattare i pazienti nelle loro abitazioni così da alleviare la pressione sugli ospedali già al collasso. Ma ad inizio di dicembre il Moh ha chiesto a Caritas Jerusalem un ulteriore sforzo: “impiegare le cinque équipe mediche già operative sul terreno a monitorare i casi positivi, misurare il loro livello di ossigeno, tenerli in isolamento domiciliare, e laddove necessario, indirizzarli verso i centri di quarantena del Moh o, nei casi più gravi, negli ospedali”. Ci sono famiglie composte anche da oltre 10 persone che vivono in una casa di sole due stanze, con anziani contagiati. “In questi casi la Caritas, con il Moh, procede a sottoporre a tampone tutti i residenti ed eventualmente ad allontanare gli infetti. La Caritas ha anche attivato un numero verde per fornire tutte le informazioni possibili relative a come fronteggiare il Covid-19”. Parallelamente CJ sta lavorando anche alla formazione del proprio personale sanitario, fornendo dispositivi di protezione adeguati, motivo per cui nessuno dei suoi operatori finora ha contratto il virus.
L’aiuto della Chiesa. L’impegno della CJ è accompagnato da quello della Chiesa come dimostra la donazione, nel giugno scorso, fatta da Papa Francesco, attraverso la Congregazione per le Chiese orientali, di 2.500 test Covid-19 al Moh. La consegna dei kit, coordinata dalla Delegazione Apostolica, dal Patriarcato Latino di Gerusalemme, è stata effettuata dalla stessa Caritas Gerusalemme e da padre Gabriel Romanelli, parroco latino della Sacra Famiglia a Gaza. I kit rientravano negli stanziamenti del nuovo Fondo di Emergenza per le Chiese Orientali istituito dal Vaticano per l’emergenza coronavirus.