Cooperazione Ue, arriva il nuovo Fondo. Ma rimangono le criticità e “pesa” il capitolo migranti
Con il 2021 viene inaugurato il Neighbourhood, development and international cooperation instrument (Ndici), ovvero il Fondo con cui verrà gestita la politica europea di cooperazione per i prossimi 7 anni. Sostituisce l’European development fund (Edf) e avrà una dotazione finanziaria di 70,8 miliardi di euro. Ma il 10% deve essere destinato a contribuire alla politica migratoria europea
Con il 2021 viene inaugurato il Neighbourhood, development and international cooperation instrument (Ndici), ovvero il Fondo con cui verrà gestita la politica europea di cooperazione per i prossimi 7 anni. Si tratta di uno strumento nuovo, su cui Parlamento e Consiglio hanno appena trovato un accordo, ma che deve ancora concludere il proprio percorso normativo. Una novità nel complesso positiva per la politica di cooperazione europea e più in generale per l’azione esterna dell’Unione, che tuttavia contiene alcuni elementi critici. Ad analizzare numeri e criticità della situazione è un Focus di Openpolis.
Il superamento dell’european development fund e la nascita del Ndci
Fino al 2020 la politica europea di cooperazione era gestita attraverso l’European development fund (Edf), un fondo che negli anni 2014-2020 aveva raggiunto la sua undicesima edizione, con un finanziamento di circa 30 miliardi di euro.
“Oltre a un budget non particolarmente elevato – si legge -, il principale problema dell’Edf era quello di essere uno strumento intergovernativo. Infatti nonostante la maggior parte dei fondi fossero gestiti direttamente dalla commissione europea, questi non erano inseriti all’interno del bilancio pluriennale europeo. Certo negli anni sono stati compiuti dei passi avanti per allineare il più possibile questo strumento al resto del bilancio dell’Unione. Un percorso che seguiva in qualche modo quello del servizio europeo per l’azione esterna e dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza che solo con il trattato di Amsterdam (2009) è diventato a tutti gli effetti un membro della commissione europea”.
Ciononostante, l’Edf rimaneva uno strumento di natura intergovernativa e il potere di intervento del Parlamento europeo era decisamente limitato su questo settore. Proprio per questo è da tempo che si dibatte dei limiti dell’Edf.
La svolta è arrivata a giugno 2018 quando la Commissione Ue ha presentato una proposta che prevedeva, appunto, la nascita del Neighbourhood, development and international cooperation instrument. “Uno strumento che sarebbe dovuto rientrare nel bilancio generale con una dotazione di 89,2 miliardi di euro. L’anno successivo il Parlamento ha adottato in prima lettura la sua posizione, confermando la struttura proposta dalla Commissione ma richiedendo un ruolo più rilevante del Parlamento, una maggiore attenzione alla tutela dei diritti umani e un aumento dei fondi complessivi di circa 4 miliardi. La posizione del Parlamento è stata quindi presa in carico dal Consiglio, come prevedono le regole europee per la formazione del bilancio, ed è iniziata una fase di contrattazione tra i due organi europei. Un percorso che si è concluso lo scorso 17 dicembre, con l’accordo raggiunto da Consiglio e Parlamento. A questo punto dunque si attende solamente che i due organi adottino formalmente il testo di legge”.
Il Ndici e il bilancio pluriennale europeo
Nonostante il testo definitivo debba ancora essere approvato struttura e ammontare complessivo del Ndici sono a questo punto consolidate. Il “Neighbourhood, development and international cooperation instrument” rientra all’interno del titolo sesto del “Multiannual financial framework 2021-2027”, intitolato “Neighbourhood and the world”. Si tratta sostanzialmente dei fondi europei per l’azione esterna, che in gran parte sono destinati proprio al Ndici.
71,93% è la quota di budget del Ndici all’interno del titolo sesto (Neighbourhood and the world) del bilancio pluriennale europeo. I fondi stanziati per questo strumento sono purtroppo inferiori rispetto a quelli indicati dalla Commissione a maggio 2020. In conclusione, dei negoziati infatti, sono stati confermati gli stanziamenti indicati dal consiglio europeo, che prevedono per il Ndici una dotazione finanziaria di 70,8 miliardi di euro (a prezzi costanti 2018 – 79,5 miliardi a prezzi correnti) distribuiti in 7 anni.
La struttura del Ndici
Il Ndici è ripartito in quattro voci principali di cui due più propriamente programmatiche e due che stanziano fondi per eventi non del tutto definibili o programmabili a priori. La voce principale è quella destinata a programmi geografici in aree predefinite.
Il 76% delle risorse del neighbourhood, development and international cooperation instrument sono destinate a progetti con una precisa destinazione geografica. Si tratta di 53,8 miliardi di cui almeno 17,2 miliardi (31,9%) da destinare a paesi del vicinato europeo e 26 miliardi (48,3%) ai paesi dell’Africa sub-sahariana. Un altra voce importante è quella relativa ai programmi tematici per cui sono previsti 5,6 miliardi (8% del Ndici). Con questi fondi dovranno essere finanziati programmi per la promozione dei diritti umani, della democrazia, della pace e della stabilità internazionale.
Infine, vengono allocati 2,8 miliardi per le azioni a risposta rapida (come emergenze o crisi umanitarie) e 8,4 miliardi per fornire all'Unione le risorse per rispondere prontamente a sfide emergenti e non prevedibili.
“Il Ndici rappresenta dunque un notevole passo avanti per la politica europea di cooperazione. Se non altro perché facendo rientrare questi importi nel bilancio pluriennale si fornisce al Parlamento europeo un pieno potere di controllo sui fondi destinati a questo settore. Particolarmente positivo inoltre è che Parlamento e Consiglio abbiano trovato un accordo sul vincolare la gran parte dei fondi del Ndici a progetti che rientrano nei parametri Ocse-Dac per l'aiuto pubblico allo sviluppo”.
Nonostante i passi avanti, permangono le criticità
“Tuttavia l'accordo tra le due istituzioni ha portato anche a una considerevole riduzione del budget – ricorda Openpolis -. Inoltre un aspetto particolarmente preoccupante riguarda le condizionalità previste sulla politica migratoria. Si tratta di una norma inserita già nella prima proposta della commissione che prevede che una parte consistente delle risorse (10%) debba essere destinata a contribuire alla politica migratoria europea”.
Il timore, espresso dalla società civile, ma anche dallo stesso Parlamento, è che queste risorse possano servire ad alimentare politiche incentrate sulle cosiddette condizionalità negative verso i paesi di origine o di transito dei migranti. “Politiche basate sull'esternalizzazione delle frontiere, da perseguire con tutti mezzi e spesso mettendo a rischio i diritti umani, oppure come forma di pressione e condizionamento per l’erogazione di risorse per la cooperazione allo sviluppo”.
“Certo per quanto rilevante si tratta di una quota minoritaria degli importi in questione – conclude Openpolis -. Tuttavia resta il fatto politico che i fondi per l'aiuto pubblico allo sviluppo dovrebbero avere come scopo di ridurre povertà e ineguaglianza senza imporre condizioni ai paesi partner. Si tratta a tutti gli effetti di un presupposto sbagliato che rischia di minare in partenza la credibilità della nuova politica europea di cooperazione”.