Cittadinanza, la società civile chiede a gran voce una riforma
In Italia sono 914.860 le studentesse e gli studenti con cittadinanza non italiana, l’11,2% del totale degli iscritti, di cui il 65,4% è nato in Italia. Sono i dati che hanno fatto da sfondo all'incontro di oggi a Roma promosso da Save the Children su “Diritto e diritti di cittadinanza: quale spazio per i bambini e le bambine?” per chiedere una riforma della legge sulla cittadinanza, che risale al 1992
Si è riacceso il dibattito sulla riforma della legge sulla cittadinanza, che risale al 1992 e di fatto non risponde più alla fisionomia attuale della società italiana. Nei giorni scorsi sono state depositate in Cassazione oltre 600.000 firme per un referendum, mentre si susseguono le proposte dei partiti, centrate principalmente intorno allo ius scholae (ossia i bimbi nati e non nati in Italia che seguono un percorso di studi obbligatori avrebbero riconosciuta la cittadinanza) e sull’accorciamento dei tempi per le richieste di cittadinanza. Attualmente la mancanza della cittadinanza crea ostacoli ai ragazzi e e alle ragazze nelle scuole, nelle università, nel mondo del lavoro. Chi non è cittadino italiano non può partecipare a gite scolastiche, a scambi culturali all’estero, a competizioni sportive, né chiedere l’accesso a borse di studio o partecipare a concorsi pubblici. Oltre ai problemi burocratici per le famiglie, costrette a chiedere periodicamente il rinnovo del permesso di soggiorno. In Italia sono 914.860 le studentesse e gli studenti con cittadinanza non italiana, l’11,2% del totale degli iscritti, di cui il 65,4% è nato in Italia. Sono i dati che hanno fatto da sfondo all’incontro di oggi a Roma promosso da Save the Children su “Diritto e diritti di cittadinanza: quale spazio per i bambini e le bambine?”.
“La riforma della legge sulla cittadinanza è una tappa fondamentale all’interno di un percorso di trasformazione culturale della società e di spazi come la scuola. Non avere il passaporto italiano fa la differenza per quasi un milione di ragazzi e ragazze che frequentano le scuole italiane”, ha affermato aprendo l’incontro Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children: “La legge sulla cittadinanza attualmente in vigore, che risale ormai a più di trent’anni fa, è superata e ha un impatto negativo sulla vita di centinaia di migliaia di bambine, bambini e adolescenti in Italia che, quotidianamente, si scontrano con barriere formali che impediscono loro di sognare e progettare concretamente il loro futuro”.
La voce dei “nuovi” italiani. “Forse finalmente stiamo arrivando ad una stagione in cui la questione della cittadinanza non riguarda solo le persone con background migratorio ma tutta la società”, ha osservato Daniela Ionita, presidente e portavoce di Italiani senza cittadinanza, arrivata in Italia dalla Romania a 7 anni. A suo avviso lo ius scholae è importante, come pure “riconoscere la cittadinanza a chi arriva successivamente ma non ha fatto il percorso di studi”. Samar Shakeh, di origine egiziana, è riuscita a prendere la cittadinanza a 17 anni e ha descritto il suo vissuto con una sensazione di “precarietà perenne”. Ora lotta come volontaria con Save the Children per mettere al centro i diritti dei giovani.
“Da anni chiediamo di modificare la legge del ’92 – ha ricordato Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef – ma la maggioranza dei parlamentari, dei diversi colori, sono caratterizzati da una certa inerzia su questi temi”. La riforma “è necessaria per il protagonismo di ragazzi e ragazze e per impostare una società migliore”. Dello stesso parere è la sindaca di Firenze Sara Funaro: “Le difficoltà e gli ostacoli alla riforma che vediamo noi adulti sono completamente superate dai bambini e dai ragazzi. Per me sarebbe necessario lo ius soli (ossia la cittadinanza a chi nasce in Italia, ndr) ma se come politica non siamo pronti facciamo un passo in avanti per arrivare almeno allo ius scholae. Come comuni non possiamo legiferare ma possiamo fare pressione”.
Il mondo della scuola su questi aspetti è già avanti, come ha confermato Mario Battiato Musmeci, dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo Gandhi a Prato: “Nella nostra scuola ci sono 69 nazionalità diverse, la più rappresentata è la romena – ha raccontato –. Abbiamo già le terze generazioni, che ignorano addirittura la lingua dei nonni, per cui dobbiamo fare giornate di sensibilizzazione al contrario. Per noi è importante valorizzare le origini, per usarle a scopo didattico”. Succede ad esempio, che una circolare emanata nel 2010 dall’allora ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, fissi un tetto del 30% di alunni stranieri in ogni classe. “Questo è un problema perché quando formiamo le classi dobbiamo chiedere una delega al tetto – ha spiegato –. Io ho solo il 7% di alunni non italofoni ma il 40% di alunni sono senza cittadinanza”.
La Fondazione Migrantes, rappresentata dall’antropologa Cristina Molfetta, curatrice del report annuale sul diritto d’asilo, è da sempre favorevole alla riforma. “Non possiamo avere una legge del ’92, serve una legge che rispecchi il Paese attuale, ossia una società plurale, multiculturale, multietnica e complessa, che ha bisogno di valorizzare le risorse che ci sono”, ha evidenziato. “Purtroppo il Paese è ostaggio del dibattito politico. Chi dice che non esiste un problema di cittadinanza non ha mai vissuto le discriminazioni che ne conseguono. Per cui
siamo favorevoli a qualunque apertura. Abbiamo avuto una classe politica che non è mai riuscita ad arrivare ad un risultato. Dobbiamo vincere questo tabù.
Ha smontato invece tante argomentazioni della politica contrarie ad una riforma Ennio Codini, della Fondazione Ismu, docente di diritto pubblico e diritto dell’immigrazione all’Università Cattolica: “È falso che con la cittadinanza vi sarebbero maggiori flussi migratori. Tranne che per lo ius soli, come accade negli Stati Uniti, la letteratura scientifica smentisce che sia un fattore di attrazione; è falso che ci sarebbero più concessioni di cittadinanza, perché stiamo parlando di persone che prima o poi ci arriveranno, quindi ci sarebbe solo un aumento significativo nel momento dell’approvazione ma poi nel lungo periodo i dati si stabilizzerebbero”. Al contrario con lo ius scholae, ad esempio, “si valorizzerebbe la scuola come luogo di integrazione, si risponderebbe alla domanda di cittadinanza e identità quando sorge, si riconoscerebbero diritti. Potrebbe essere anche un incentivo per frenare la dispersione scolastica”.