Brasile: aumentano gli attacchi ai territori indigeni. I video delle sparatorie
L’anno scorso ci sono stati 109 casi di “invasioni possessive, sfruttamento illegale delle risorse naturali e vari danni al patrimonio”, mentre nel 2017 ci c’erano stati 96 casi. Nei primi nove mesi del 2019, i dati parziali del Cimi riportano, al momento, già 160 casi di questo tipo nei territori indigeni del Brasile. C'è stato anche un aumento del numero di omicidi segnalati che vedono come vittime gli indigeni, spesso leader sociali che lottano per i loro diritti: i casi, nel 2018, sono stati 135. Il maggior numero di casi si è verificato in Roraima (62), segue il Mato Grosso do Sul (38). Nel 2017 erano stati registrati 110 casi di omicidio
I territori indigeni e i loro abitanti sono sempre più in pericolo e sotto attacco. Aumentano vertiginosamente le occupazioni di terreni da parte di minatori abusivi (i garimpeiros), coloni agricoli (i fazendeiros), imprenditori del legname (i madeireiros). E aumentano anche le vittime, 135 nel 2018 contro i 110 del 2017. Il “Rapporto sulla violenza contro le popolazioni indigene in Brasile – 2018”, redatto dal Consiglio indigenista missionario (Cimi) e presentato ieri a Brasilia, parla di fenomeni sempre più preoccupanti di accaparramento delle terre, furto di legname, estrazione dell’oro, contaminazione delle acque, invasioni e persino la creazione di lottizzazioni di terreni nei territori indigeni tradizionali. Una situazione che, secondo il rapporto, “pone a rischio la stessa sopravvivenza di varie comunità indigene in Brasile”. Dal territorio amazzonico giungono al Sir appelli e allarmi urgenti, come quello della popolazione Munduruku, minacciata e attaccata dai garimpeiros.
Nel 2019 boom delle “occupazioni” di territori. I dati, del resto, sono eloquenti. L’anno scorso ci sono stati 109 casi di “invasioni possessive, sfruttamento illegale delle risorse naturali e vari danni al patrimonio”, mentre nel 2017 ci c’erano stati 96 casi. Nei primi nove mesi del 2019, i dati parziali del Cimi riportano, al momento, già 160 casi di questo tipo nei territori indigeni del Brasile.
C’è stato anche un aumento del numero di omicidi segnalati che vedono come vittime gli indigeni, spesso leader sociali che lottano per i loro diritti: i casi, nel 2018, sono stati 135. Il maggior numero di casi si è verificato in Roraima (62), segue il Mato Grosso do Sul (38). Nel 2017 erano stati registrati 110 casi di omicidio.
Delle 1.290 terre indigene in Brasile, 821 (63%) hanno delle pendenze aperte con lo Stato, per esempio per il completamento del processo di demarcazione e la registrazione come territorio indigeno tradizionale presso la Segreteria del Patrimonio dell’Unione (Spu). Di questi 821, 528 territori (64%) non sono ancora state prese in carico dallo Stato.
Terreni ancestrali venduti a lotti. “Gli invasori di solito entravano nel territorio e rubavano legname, minerali, attentavano alla biodiversità… ma a un certo punto si sapeva che sarebbero partiti. Ora, invece, in molte regioni, vogliono la proprietà della terra calpestata e la invadono allo scopo di rimanere lì. Dividono persino i territori ancestrali vengono divisi in lotti e venduti”, spiega Antonio Eduardo Cerqueira de Oliveira, segretario esecutivo di Cimi. Quello che si dice poco, prosegue è che “queste terre sono a uso esclusivo degli indigeni, ma appartengono allo Stato, le terre indigene sono patrimonio pubblico. Quindi possiamo dire che l’intera società brasiliana viene danneggiata, estorta in qualche modo. Perché, anche quando non completamente distrutti, questi beni naturali verranno appropriati e venduti a beneficio di pochi individui, vale a dire gli invasori criminali”.
Nel Pará l’attacco delle bande di cercatori d’oro. L’esempio di quanto riportato dal rapporto del Cimi arriva dallo Stato amazzonico brasiliano del Pará, e precisamente dagli indigeni Munduruku, che abitano nella zona meridionale dello Stato, nel bacino del rio Tapajós. Si verificano minacce ripetute da parte di gruppi di pistoleros, una continua appropriazione di terre indigene, una situazione da far west, sempre più insostenibile, senza che al momento le autorità giudiziarie e le forze dell’ordine siano al momento intervenute, nonostante le ripetute denunce.
“Bande di garimpeiros, i cercatori illegali d’oro – dichiara al Sir il francescano padre João Messias Sousa, che da molti anni opera nella zona del Tapajós e nelle prossime settimane parteciperà a Roma a un incontro nell’ambito del Sinodo per l’Amazzonia -, anche negli ultimi giorni hanno minacciato gli indigeni Munduruku. Anch’io personalmente ho ricevuto minacce. Il clima per gli indigeni è sempre più insicuro”.
L’avanzata dei garimpeiros non conosce freni. E accanto alle minacce sono ben visibili nell’ambiente gli effetti di un’attività mineraria indiscriminata e senza controlli. “In particolare – prosegue il religioso – l’uso del mercurio inquina le acque e provoca la morte dei pesci, privando i Munduruku di un fondamentale sostentamento”. “I cercatori d’oro, inoltre, cercano di mettere gli indigeni uno contro l’altro – afferma padre Sousa.
Da tempo denunciamo questa situazione e anche recentemente abbiamo presentato un esposto al Pubblico Ministero federale di Santarém.
Il problema non è nuovo, ma con il governo al potere in Brasile questi gruppi si sentono invincibili”. Lo si vede dalle immagini e dai video che gli indigeni hanno diffuso. L’avanzata appare inesorabile, con un grande spiegamento di forze: “Sono arrivati con 240 macchine e mezzi pesanti”, prosegue il francescano, Insomma un piccolo esercito, di circa 500 persone, come documenta il citato report del Cimi.
L’esposto è firmato dai caciques, i capi indigeni della regione, i quali chiedono aiuto di fronte alle minacce e all’invasione delle proprie terre: “Chiediamo soccorso, di fare qualcosa perché le nostre vite e la vita del creato non vadano distrutte. Chiediamo che il Pubblico Ministero federale prenda provvedimenti perché queste bande stanno occupando la nostra terra, che stanno distruggendo sempre di più”. Proseguono gli indigeni Munduruku: “Noi siamo stanchi, vogliamo vivere in pace”.