Sinodo. Lettera che deve incidere
«La lettera post-sinodale del vescovo Claudio non può scivolare via senza incidere profondamente sulla nostra vita e su quella delle nostre comunità. Delinea orizzonti esigenti e chiede davvero un cambio di passo a tutti».
Ne è convinto Francesco Ballan, vicepresidente del Consiglio pastorale diocesano dal 2018 al 2023, che ha seguito “da vicino” il cammino della Chiesa di Padova a partire da prima del Sinodo.
Cosa la colpisce di quanto scrive il vescovo Claudio nella lettera? «Siamo in una situazione difficile e la vicenda recente del Covid ha per certi versi accelerato e reso evidente situazioni già in atto; alla nota carenza di presbiteri si sono aggiunte la diminuzione della frequenza e la stanchezza degli operatori oberati da tanti impegni. Non diminuiscono solo i preti, ma anche i laici che frequentano e che si rendono disponibili a portare avanti le tante attività. In questa situazione diventa davvero vitale accogliere l’invito del vescovo Claudio a guardare al futuro con speranza».
Come ha vissuto le tre proposte emerse dal lavoro dell’assemblea sinodale? «Sono contento che dal Sinodo siano emerse le proposte sui ministeri battesimali (n. 17), sui piccoli gruppi della Parola (n. 9) e sulla collaborazione tra parrocchie (n. 18) perché anch’io sono convinto che possono essere davvero potenti leve di cambiamento del nostro modo di essere Chiesa. Mi dispiace del poco tempo dedicato dai lavori in assemblea sinodale alle proposte 9 e 18 e spero che questo non si rifletta in un minor impegno realizzativo delle proposte. Temo anche che l’urgenza, per certi versi necessaria, con cui si dovrà affrontare la nuova organizzazione abbozzata nella proposta 18 vada a scapito della comprensione del valore che la scelta di porsi tutti in collaborazione pastorale porta con sè».
Che sfide emergono per la Chiesa di Padova? «Il vescovo Claudio ci chiede di iniziare a cambiare il nostro modo di essere Chiesa. Ci chiede un profondo cambiamento personale prima di tutto e poi anche delle nostre comunità. Noi abbiamo fatto sempre molto affidamento sulle iniziative e sulle strutture, spendendo energie e risorse sempre meno gratificate dai risultati. Adesso ci è chiesto di cambiare prima di tutto noi stessi e le relazioni tra noi, tra le nostre comunità, tra le nostre comunità e il territorio che ci è stato affidato. Ci è chiesto di diventare testimoni credibili e gioiosi del Vangelo. Non siamo di fronte a un compito da svolgere facilitato da “schede guida”, ma ci è chiesto di rinnovarci profondamente a partire dalla riscoperta del nostro battesimo e della Parola di Dio».
C’è qualcosa su cui... vigilare? «Al numero 63 della lettera post-sinodale il vescovo parla di “processi partecipativi” e del coinvolgimento ampio delle persone e degli organismi di comunione parrocchiali nella lettura del territorio, nella valutazione della realtà parrocchiale, nella individuazione di ciò che è più necessario e possibile. Credo che in questa fase della vita della nostra Chiesa sia indispensabile mantenere attivi i processi partecipativi anche ad altri livelli: vicariale e diocesano. Questo perché non venga meno quella preziosa opera di accompagnamento, dialogo e confronto che ritengo possa essere utile e facilitare il cambiamento. Dopo aver vissuto un periodo straordinario di sinodalità declinata a tutti i livelli non possiamo raccomandarla e viverla solamente a livello parrocchiale».
Una proposta esigente per essere Chiesa oggi
«La lettera è un invito, una proposta esigente per rinnovare il nostro modo di essere Chiesa che comporta la necessità di assumersi tutti una responsabilità pastorale da condividere in forza del battesimo alimentata dalla riscoperta della Parola di Dio, per adatti oggi all’annuncio del Vangelo».
(P. P.)