La fede e i frutti di stagione. Credere in Gesù Cristo è esperienza stagionale, con i suoi tempi e i suoi frutti
Nella vita di fede, sembra regnare, per tante ragioni, una sorta di fissità rispetto a una realistica consapevolezza del cambiamento. Credere in Gesù Cristo è un’esperienza stagionale, con i suoi tempi, i suoi frutti, dimensioni costanti e aspetti mutevoli. «Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre», ma siamo noi che non possiamo sottrarci allo scorrere del tempo
Da un lato, siamo abituati a poter accedere e a consumare prodotti agricoli di ogni stagione in ogni momento dell’anno, dall’altro lato, invece, apprezziamo sempre i frutti di stagione al tempo della loro disponibilità nel nostro territorio. Da una parte il ciclo delle stagioni, e quanto ha un ritmo periodico, sembra essere scomparso, perché sempre e dovunque tutto sembra essere disponibile, dall’altra parte, quando facciamo esperienza di luoghi della terra nei quali esistono solo una o due stagioni, noi della fascia temperata ci sentiamo un po’ spaesati. Queste dimensioni sono oggigiorno meno diffuse, poiché lo stile di vita per lo più urbano-industriale-tecnologico della maggior parte delle persone le ha staccate totalmente dal contatto con i ritmi agricoli-vegetali. Forse l’attuale, a volte smodata, passione per gli animali è un segno di qualcosa che si è perso. Tanti sapienti proverbi nati in una cultura prevalentemente contadina mantengono il loro messaggio, ma devono essere sovente decifrati. Forse la degustazione del vino e dei formaggi, e di altri prodotti la cui qualità è strettamente legata al tempo, potrebbero essere esperienze dalle quali imparare la sapienza della stagionatura, della freschezza, dell’invecchiamento, della riserva e così via. Se è difficile parlare di età, tanto che si cerca di porre il meno possibile, e di eludere abilmente, la domanda: «Quanti anni hai?», forse parlare di stagioni ci può aiutare a essere consapevoli di dimensioni costanti e, al contempo, di dimensioni che cambiano lungo lo scorrere del tempo della nostra vita. Ogni persona, infatti, è sempre la stessa, ma è inoppugnabile il fatto che a trent’anni non sia uguale a quando ne aveva venti, e a quando ne avrà settanta. Per tante ragioni nella vita della fede sembra regnare più una sorta di fissità rispetto a una realistica consapevolezza del cambiamento. Nessuno mette in dubbio che «Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre» (Eb 13,8), ma siamo noi che non possiamo sottrarci allo scorrere del tempo. Questa malsana paura del cambiamento spesso blocca il cammino della fede congelando la sua esperienza in una stagione della vita, ad esempio nell’infanzia. Si arriva a ricevere un Nobel in qualche disciplina, ma ancora con le scarpe della prima comunione, quanto a “evoluzione” della fede. Credere in Gesù Cristo è un’esperienza stagionale, con i suoi tempi, i suoi frutti, dimensioni costanti e aspetti mutevoli. Ci sono temperature, umidità, intensità di luce e aria diverse nel corso degli anni per quanto riguarda la nostra relazione con il Signore. Si celebra diversamente una messa a trent’anni e a settanta, anche solo per esigenze corporee molto differenti tra le due età anagrafiche. Alle stagioni della vita corrispondono altrettante stagioni della fede, come magistralmente descritto, ad esempio, nello straordinario libretto di Romano Guardini, Le età della vita. Il loro significato etico e pedagogico.
Don Giulio Osto
Istituto Superiore di Scienze Religiose di Padova