I malati raggiunti dal Rito della comunione. Toccati dalla potenza del Signore
Malati È essenziale che la liturgia li raggiunga, attraverso il Rito della comunione, lì dove sono
Ricordo quello che mi disse un’anziana zia di mio marito. Dopo una vita all’aria aperta, si ritrovava ammalata, chiusa in un appartamento. Distesa a letto mi sussurrava: «È vero quello che dicono i predicatori: il diavolo ci tenta fino alla fine della vita». Il malato, oltre al dolore, potrebbe essere tentato nella fede. Egli è come le donne che si chiedono: «Chi ci rotolerà via la pietra dal sepolcro?» (Mc 16,3). Chi potrà condurci a comprendere il senso della malattia, della morte? Chi potrà farci incontrare il Risorto nella tomba in cui finiscono le speranze? Chi può farci superare il buio del dubbio? Solo la liturgia può sollevare quella pietra, perché toglie ogni ambiguità alla parola di Dio, per farla diventare l’annuncio del mistero pasquale che si realizza nell’eucaristia. Ma ecco che proprio quando ne hanno più bisogno, i malati si trovano privati della possibilità di celebrare quel mistero pasquale che dà senso anche alla sofferenza, perché la unisce intimamente a quella del Crocifisso Risorto. Per questo è essenziale che la liturgia li raggiunga là dove sono, attraverso il Rito della comunione portata dai ministri straordinari, perché la potenza del Signore li tocchi fin nell’abisso della sofferenza in cui sono chiusi. E questo ogni domenica, non saltuariamente, perché nessun cristiano può vivere senza la domenica, come affermarono i martiri di Abitene nel 303 d.C. Nelle nostre parrocchie, l’attenzione per gli infermi si esprime anche con questa premura, resa visibile a tutta l’assemblea celebrante: l’invio dei ministri prima della conclusione della messa, per mostrare la comunione e l’intercessione che salva malati e sani.