Benedetto XVI secondo don Riccardo Battocchio. «Ha indicato la centralità dell’unità tra ragione e fede»

Riccardo Battocchio, presidente dell’Associazione teologica italiana, riprende i filoni principali della ricerca di Joseph Ratzinger a partire dai “padri” Agostino e Bonaventura

Benedetto XVI secondo don Riccardo Battocchio. «Ha indicato la centralità dell’unità tra ragione e fede»

L’eredità di pensiero e di ricerca che papa Benedetto XVI lascia alla Chiesa è di valore inestimabile, la sua vastità non è
riassumibile in un articolo e nemmeno nei molti servizi giornalistici seguiti la sua morte. Ci sono, tuttavia, dei punti cardine emersi nelle opere teologiche firmate da Joseph Ratzinger come docente, vescovo e cardinale, come pure nelle tre encicliche siglate da pontefice, su cui vale la pena soffermarsi. «Joseph Ratzinger ha saputo indicare al mondo
contemporaneo l’unità fondamentale, pur nella loro distinzione, tra l’orizzonte della fede e quello della ragione – riflette mons. Riccardo Battocchio, rettore dell’Almo collegio Capranica di Roma e presidente dell’Associazione teologica italiana – Ha mostrato come la fede cristiana permetta alla ragione di allargare i propri orizzonti e come, allo stesso tempo, il cristianesimo valorizzi i frutti migliori della ricerca di verità messa in atto dalla ragione. Troviamo una prospettiva simile anche nella prima lettera enciclica scritta da papa, Deus caritas est (2006), nella quale il
rapporto ragione-fede viene declinato con il linguaggio dell’amore: non c’è opposizione tra eros e agape, tra l’amore come desiderio e l’amore come dono. Occorre semmai cogliere la giusta relazione fra i due dinamismi». Quali sono stati i primi passi della ricerca teologica di Joseph Ratzinger? «La sua attività di giovane teologo l’aveva messo in contatto fin dall’inizio con un particolare filone della tradizione cristiana, quello che risale a sant’Agostino e che è stato ripreso nel Medioevo da san Bonaventura da Bagnoregio. In particolare, grazie allo studio del grande dottore francescano, Joseph Ratzinger ha compreso che la rivelazione divina è un’azione, non semplicemente un insieme di contenuti: è l’atto con cui Dio si mostra e si dona, coinvolgendo nella fede il soggetto al quale si rivolge. Per questo motivo non basta una conoscenza materiale della Sacra Scrittura, affidata unicamente alla critica storica, per comprenderla in modo adeguato. È impressionante constatare come questa idea, maturata negli studi giovanili del teologo Ratzinger, sia presente anche nel testamento spirituale di papa Benedetto XVI. Lo studio di sant’Agostino ha avuto anche un forte peso nella sua visione della Chiesa come “casa” e “popolo” di Dio, come realtà che non si identifica solo con la comunità eucaristica locale, pur non prescindendo da essa». Quale fu il suo contributo come esperto al Concilio Vaticano II a fianco del card. Frings? «Proprio la conoscenza della tradizione agostiniana e bonaventuriana ha permesso a Joseph Ratzinger di dare un significativo contributo alla stesura di alcune parti della costituzione dogmatica Dei Verbum sulla “Divina Rivelazione”, collaborando allora con un altro grande teologo cattolico, Karl Rahner, dal pensiero del quale in seguito avrebbe preso in parte le distanze. Come dicevo, per Ratzinger la Parola di Dio non si identifica materialmente nella Sacra Scrittura. Quest’ultima va accolta e interpretata nella tradizione e nella storia di fede di un popolo, vissuta all’interno di una comunità». Un tema che ci conduce alla liturgia.
«L’esperienza liturgica è uno dei grandi temi della teologia di papa Benedetto: la fede vive del mistero celebrato nel culto. Il suo insegnamento vive della grande lezione di Romano Guardini, ripresa alla luce del Vaticano II. Associare semplicemente al “tradizionalismo” alcune decisioni adottate durante il suo pontificato in materia liturgica, riviste
in seguito da papa Francesco, ci porterebbe fuori strada. Egli era mosso dal desiderio di custodire l’unità della Chiesa e di mostrare, nella necessaria riforma, la continuità della tradizione. Alcuni gruppi hanno approfittato di queste aperture per contrapporsi al Vaticano II, tradendo così le indicazioni e le intenzioni del magistero di papa Benedetto. Non si tratta di conservare forme di un passato tutto sommato recente ma di collocare il momento celebrativo nel posto che gli spetta, all’interno della vita della comunità cristiana e del singolo credente». Nei due convegni dei teologi del Triveneto a cui ha partecipato a Roana nel 1975 e nel 1976, Ratzinger ha trattato il rapporto tra Salvezza cristiana e storia. Qual era la sua visione? «Dagli interventi a quei convegni e da altri testi su questo tema emerge una visione che potremmo ben definire “mistica”: la salvezza è dono che raggiunge l’uomo nella sua condizione di peccato, di lontananza da Dio. La storia, intesa come agire dell’uomo nel tempo, non ha di per sé una portata salvifica. I suoi discussi interventi sulla teologia della liberazione, da Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, nascono anche da questa visione della storia. Guardando al Vaticano II, e riprendendo un’intuizione del teologo padovano Ermanno Roberto Tura (1936-2018), che fra il 1974 e il 1977 aveva studiato il pensiero di Ratzinger, si può dire che egli è stato più l’uomo di Dei Verbum (il documento sulla divina rivelazione), di Lumen gentium (sulla Chiesa) e di Sacrosanctum Concilium (sulla liturgia), meno di Gaudium et spes, documento sulla Chiesa nel mondo contemporaneo». Come possiamo sintetizzare il contributo teologico di Joseph Ratzinger alla Chiesa? «L’indubbia grandezza del suo pensiero, molto articolato, espresso con invidiabile chiarezza e con uno stile limpido e attraente, sta soprattutto nell’aver valorizzato alcune alte voci della tradizione cristiana – Agostino, Bonaventura, ma non solo. Il teologo Ratzinger, a differenza di altri suoi colleghi, non si è confrontato in modo sistematico con le grandi istanze della modernità, con autori come Kant o Hegel, ma ha saputo rigenerare, anche grazie ai suoi allievi, il contributo che i grandi testimoni della tradizione cristiana offrono ancora oggi alla missione della Chiesa».

La Cei: grati per impulso alla nuova evangelizzazione

Nel messaggio pubblicato alla notizia della morte del papa emerito, la Conferenza episcopale italiana ha ricordato in primo luogo l’impulso dato da Benedetto XVI alla nuova evangelizzazione al convegno di Verona (2006).

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