Movimento dei Focolari. Genfest in Calabria: 400 giovani per “prendersi cura insieme” e “costruire un Mediterraneo di fraternità”
Una festa di sguardi, incontri, musica e colori, che ha visto i partecipanti riflettere, interrogarsi, “sporcarsi le mani” sul tema del “prendersi cura insieme”. L’iniziativa ha concluso una simbolica staffetta con altri eventi simili, in programma in tutto il mondo: il Genfest internazionale, giunto alla 12ª edizione, svoltosi ad Aparecida in Brasile, e in Italia il Genfest di Loppiano (Fi) e l’esperienza di Roma
Tre giornate tra Lamezia Terme, Curinga, Rogliano, Isola Capo Rizzuto e Steccato di Cutro. Circa 400 giovani provenienti da Calabria, Sicilia, Basilicata, Puglia, Sardegna e Campania, con rappresentanze dall’Egitto, Albania, Palestina. Oltre trenta ospiti tra workshop, momenti di discussione e approfondimento e una grande festa sul lungomare lametino “Falcone-Borsellino”. Sono gli ingredienti del Genfest 2024, raduno dei giovani del Movimento dei Focolari, che, a fine luglio, nell’edizione interregionale del Sud e delle Isole, ha scelto la Calabria.
Una festa di sguardi, incontri, musica e colori, che ha visto i partecipanti riflettere, interrogarsi, “sporcarsi le mani” sul tema del “prendersi cura insieme”.
L’iniziativa ha concluso una simbolica staffetta con altri eventi simili, in programma in tutto il mondo: il Genfest internazionale, giunto alla 12ª edizione, svoltosi ad Aparecida in Brasile, e in Italia il Genfest di Loppiano (Fi) e l’esperienza di Roma, alla quale hanno preso parte giovani residenti nel Lazio, ma provenienti da varie nazioni, impegnati, assieme agli adulti, su “Nuove povertà”, “Disabilità e accessibilità del territorio” e “Impegno politico e sociale”.
Nel cuore “di ogni giovane”, ha detto il vescovo di Lamezia Terme, mons. Serafino Parisi, rivolgendosi ai partecipanti nella prima giornata, “c’è l’immaginazione, il desiderio di un mondo migliore. Un’immaginazione che non può restare tale, ma deve trasformarsi in una sfida da cogliere: quella di diventare protagonisti del cambiamento.
Il mondo cambia se noi cambiamo e se diamo impulso al cambiamento.
Vi auguro che un giorno, guardando al vostro passato, possiate scorgere che il buono che si è riusciti a costruire ha anche la vostra firma”. Richiamando l’origine del Movimento dei Focolari e la figura di Chiara Lubich, il presidente della Conferenza episcopale calabra e arcivescovo di Reggio Calabria, mons. Fortunato Morrone, ha esortato i giovani a “tirare fuori i vostri ‘pani d’orzo’, quello che ciascuno di noi ha e che, condiviso con generosità, diventa ricchezza per tutti. Una giustizia che va oltre ‘il dare a ciascuno il suo’, ma significa trovare casa, solidarietà, conforto”.
“Voi annunciate che il Dio di Gesù non agisce senza di noi ma si appella alla nostra responsabilità”, ha evidenziato.
Il tema della relazione con l’altro è stato al centro dell’intervento di Valentina Gaudiano, vicerettrice dell’Istituto universitario Sophia e docente di Antropologia filosofica, che ha sottolineato il valore della relazione come “elemento costitutivo del nostro io. Nessuno di noi si è dato un nome da solo, nessuno di noi nasce senza una relazione: questo ci dice che ciascuno di noi è unico e irripetibile, in un legame di dipendenza con gli altri”.
Hanno percorso circa 90 chilometri i 400 giovani del Genfest per vivere al santuario “Madonna Greca” di Isola Capo Rizzuto la seconda giornata dedicata al tema “Prendiamoci cura della pace”. Ad accoglierli, mons. Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Jonio e vicepresidente della Cei per il Sud, che ha invitato i giovani a rispondere oggi alla chiamata di Dio a riparare “la casa del mondo”. Parlando del Mediterraneo, luogo in cui decine migliaia di migranti trovano la morte, ha affermato:
“Torniamo tutti a essere umani. Oggi c’è troppa disumanizzazione. Un cristiano che non diventa umano nega Gesù Cristo”.
Quindi l’appello a essere “artigiani di pace”.
Pasquale Ferrara, direttore generale per gli affari politici e di sicurezza del Ministero degli Esteri, già ambasciatore in Algeria, in dialogo con i giovani, ha parlato dei tanti conflitti in atto nel mondo, tracciando un panorama a 360 gradi delle cause che generano le guerre.
“Si dice spesso che le guerre sono causate da ragioni di realismo per difendersi dagli attacchi, per difendere i popoli, per garantire la sicurezza. Ma dopo ogni guerra in realtà si è ancora più insicuri e nessun problema è stato risolto”.
Parlando dei migranti ha rilevato come il fenomeno odierno sia il frutto dei grandi conflitti che ci sono oggi nel mondo. A Isola di Capo Rizzuto hanno offerto la loro testimonianza anche due giovani. Majdi Abdallah, cristiano palestinese, che a Rondine Cittadella della Pace ha conosciuto un giovane israeliano: “Ho capito che la vera pace può essere costruita solo sulle fondamenta della nostra comune umanità, riconoscendo che siamo tutti figli dello stesso Dio, chiamati a vivere in fraternità. Da quel giorno mi sono impegnato a diventare un costruttore di pace, a usare la mia voce e le mie azioni per promuovere la riconciliazione e la giustizia”. Yousef Ibrahim, palestinese di 27 anni, ha raccontato la sua “storia di frustrazione e speranza, di divisione e connessione”: “La politica spesso getta un’ombra sulla nostra terra, ma la realtà che vivo è fatta anche di belle connessioni” e “a livello umano c’è rispetto e voglia di dialogo”. Secondo il giovane la vera Palestina è “una terra con problemi politici, sì, ma anche con una forte cultura dell’accoglienza e del rapporto umano”.
I giovani che partecipano al Genfest hanno voluto onorare la memoria dei migranti con il flashmob dal titolo “Silenzio, ascolto, parola: la nostra preghiera per la pace” sulla spiaggia di Steccato di Cutro, dove a febbraio 2023 si è consumato un tragico naufragio.
Un gruppo di artisti italiani, libanesi e giordani hanno dato vita a una performance artistica, dal titolo “Luce di ogni Anima”, per dare un volto a tutte le vite che hanno smesso di risplendere, di portare la loro scintilla d’eternità in mezzo a noi.
Le voci e i gesti hanno permesso di ricostruire e narrare le loro storie. Le loro storie si sono levate dal mare – simbolicamente da una barca le cui luci si spegnevano man mano che si avvicinava alla riva – per ricordare e scongiurare che non accada mai più.
Costruire un Mediterraneo di fraternità: una sfida, ma non un’utopia. È questo uno dei leitmotiv della serata finale del Genfest 2024 a Lamezia Terme. Don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e di Libera, nel suo intervento, ha ricordato che il Mediterraneo viene definito “culla di cultura e di civiltà”, ma oggi è anche il luogo della crisi. “Bisogna fermare la deriva etica di un pezzo di umanità che abbandona un pezzo l’umanità più povera e più fragile – ha osservato -.
I migranti morti sono la coscienza sporca che volge la testa da un’altra parte. L’Occidente ha tradito la sua storia.
La lezione del Covid avrebbe dovuto dirci che siamo tutti sulla stessa sbarca. Quella lezione dell’epidemia che ha fatto migliaia di morti avrebbe dovuto farci sentire accomunati da una simile sorte. Non è stato così”. Secondo don Ciotti, “le migrazioni sono deportazioni indotte perché i migranti sono costretti a fuggire dalla fame. Ci sono momenti nella vita in cui tacere diventa una colpa e parlare una necessità etica”. Ha ricordato la tragedia di Cutro e le parole di Mattarella sulla spiaggia che chiedeva scusa. E i sindaci del crotonese in ginocchio con il vescovo e l’imam: “Sono i sindaci che hanno reso bella la Calabria”.
Stefano Scarpa di Iglesias, dove c’è una fabbrica che produce armi che vengono esportate, ha illustrato la storia dell’associazione War Free, una rete di aziende e commercianti per un’economia diversa. Vincenzo Linarello, fondatore della cooperativa Goel, ha raccontato la storia di imprenditori e cittadini impegnati per combattere la ‘ndrangheta e garantire un futuro alla propria terra. “Abbiamo cominciato a reagire denunciando e puntando i riflettori su ciò che accadeva. Quando abbiamo cominciato a rispondere, la ndrangheta non è rimasta a guardare. Sono arrivati attentati su attentati. Abbiamo capito che l’intento non era solo intimidazione all’azienda”, ma creare “depressione sociale”, che “toglie la speranza”.
“Un popolo rassegnato è incapace di reagire. La speranza è pericolosa, mette i grilli in testa alle persone e li convince che un cambiamento è possibile. Noi vogliamo coltivare questa speranza”, ha concluso.