Lo “scandalo” dell’Incarnazione. È uomo concreto, compagno di strada, uno di noi, Gesù di Nazareth
"Dio si è incarnato: Dio è umile, Dio è tenero, Dio è nascosto - spiega il Papa -, si fa vicino a noi abitando la normalità della nostra vita quotidiana".
“Venne nella sua patria”. Con queste parole Marco, nel suo Vangelo, scrive il ritorno a Nazareth di Gesù. Partito dalla sua città natale, aver percorso le strade della Galilea, e di quella che chiamiamo la terra santa, compiuto miracoli e parlato alle folle, ecco che in questa domenica il cerchio si chiude: il luogo familiare della sua nascita e crescita lo accoglie, ma per lui è un po’ una delusione, tanto da fargli dire: “un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”.
Che cosa è accaduto? Dopo la donna guarita perché ha toccato il lembo del mantello, dopo aver ridato vita alla figlia del capo della sinagoga, essendo sabato, Gesù va nella sinagoga che lo ha visto fanciullo, là dove, come ogni giovane ebreo, ha compiuto il bar mitzvah, per diventare a pieno titolo membro della comunità, e si mette a insegnare.
“Molti, ascoltando, rimanevano stupiti”, leggiamo in Marco. E scatta la curiosità, anche l’invidia in chi lo ascolta, come dire i suoi concittadini, gli amici di alcuni anni prima: “da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?” Già, come è mai possibile che quel ragazzo, figlio del falegname e della giovane Maria, che hanno visto crescere, che tutti conoscevano, e con tutti aveva magari giocato e parlato, è capace di dire tutte quelle cose?
Lo “conoscono” ma non lo “riconoscono”, dice papa Francesco all’Angelus; possiamo conoscere molte cose di una persona, “farci un’idea, affidarci a quello che ne dicono gli altri, magari ogni tanto incontrarla nel quartiere, ma tutto questo non basta. Si tratta di un conoscere direi ordinario, superficiale, che non riconosce l’unicità di quella persona”. Un rischio che corriamo tutti: “pensiamo di sapere tanto di una persona, e il peggio è che la etichettiamo e la rinchiudiamo nei nostri pregiudizi. Allo stesso modo, i compaesani di Gesù lo conoscono da trent’anni e pensano di sapere tutto!”
C’è una sorta di rimozione: troppo impegnative quelle parole ascoltate, troppo innovativo quell’insegnamento echeggiato all’interno della sinagoga. E poi, lo conoscono, sanno tutto della sua vita, della sua storia, è vissuto nel loro stesso ambiente, e, dunque, perché ascoltarlo? Meglio pensare alle cose di tutti i giorni. Gli abitanti di Nazareth si sono fermati “all’esteriorità e rifiutano la novità di Gesù” dice Francesco. Una lezione anche per noi: “quando facciamo prevalere la comodità dell’abitudine e la dittatura dei pregiudizi, è difficile aprirsi alla novità e lasciarsi stupire. Noi controlliamo, con l’abitudine, con i pregiudizi”, e nella vita delle persone “cerchiamo solo conferme alle nostre idee e ai nostri schemi, per non dover mai fare la fatica di cambiare”.
Questo succede anche alla nostra fede: “senza apertura alla novità e soprattutto apertura alle sorprese di Dio, senza stupore, la fede diventa una litania stanca che lentamente si spegne e diventa un’abitudine, un’abitudine sociale”. Lo stupore è quell’incontro che ti fa riconoscere il Signore, “è come il certificato di garanzia che quell’incontro è vero, non è abitudinario”, dice ancora il vescovo di Roma.
Il motivo di questa non conoscenza, per Francesco, è l’incapacità di accettare “lo scandalo dell’Incarnazione”; per gli abitanti di Nazareth “è scandaloso che l’immensità di Dio si riveli nella piccolezza della nostra carne, che il Figlio di Dio sia il figlio del falegname, che la divinità si nasconda nell’umanità, che Dio abiti nel volto, nelle parole, nei gesti di un semplice uomo”. Lo scandalo è la concretezza, la “quotidianità” dell’incarnazione di Dio.
È uomo concreto, compagno di strada, uno di noi, Gesù di Nazareth. “È più comodo un dio astratto, e distante, che non si immischia nelle situazioni e che accetta una fede lontana dalla vita, dai problemi, dalla società. Oppure ci piace credere a un dio ‘dagli effetti speciali’, che fa solo cose eccezionali e dà sempre grandi emozioni”. Invece, afferma il Papa, “Dio si è incarnato: Dio è umile, Dio è tenero, Dio è nascosto, si fa vicino a noi abitando la normalità della nostra vita quotidiana. E allora, succede a noi come ai compaesani di Gesù, rischiamo che, quando passa, non lo riconosciamo”.