1 agosto 1917: Benedetto XV e l’appello contro “l’inutile strage”
Era il primo agosto del 1917 quando papa Benedetto XV, nel pieno della Prima Guerra mondiale scriveva, in una lettera, "ai capi dei popoli belligeranti chiedendo di giungere “quanto prima alla cessazione di questa lotta tremenda, la quale, ogni giorno più, apparisce inutile strage”
Era il primo agosto del 1917 quando papa Benedetto XV, nel pieno della Prima Guerra mondiale scriveva, in una lettera, “ai capi dei popoli belligeranti” chiedendo di giungere “quanto prima alla cessazione di questa lotta tremenda, la quale, ogni giorno più, apparisce inutile strage”. Il mondo infatti, era – ormai da tre anni – in guerra, la “Grande Guerra”, che causò circa 20 milioni di morti e altrettanti feriti. Benedetto XV era succeduto, nel 1914, a Pio X. “Mi dispiace che con questa guerra i cardinali non potranno venire in Conclave”, disse poco prima della morte proprio Pio X, avvenuta il 20 agosto 1914, giorno di ingresso delle truppe tedesche a Bruxelles, nel Belgio neutrale. A quel Conclave presero parte 57 cardinali dei 65 facenti parte del Collegio Cardinalizio i quali, dopo dieci scrutini, elessero al soglio di Pietro il cardinale, arcivescovo di Bologna, Giacomo Della Chiesa che scelse appunto di chiamarsi Benedetto XV. Un Papa che durante quel terribile periodo bellico fu l’unica voce libera che provò a denunciare quella “inutile strage” che già da anni si consumava in Europa. Fu il Papa della pace e di essa fece il motivo fondamentale del suo pur breve pontificato.
Appena cinque giorni dopo la sua elezione – tre anni prima della lettera ai capi dei popoli belligeranti – denunciava lo “spettacolo mostruoso” del conflitto in corso qualificandolo come “flagello dell’ira di Dio”. Concetti che ribadisce con forza nella sua prima enciclica “Ad beatissimi” del 1 novembre 1914, nella quale da un giudizio chiaro della guerra, generata dall’apostasia della società da Cristo, fonte del “suicidio dell’Europa”. Tutto l’intero episcopato di questo pontefice sarà caratterizzato da una intensa e continua perorazione alla causa della pace, da chiedere e raggiungere soprattutto attraverso riti religiosi, preghiere e interventi generici. Nell’enciclica il neo pontefice analizza i principali disordini dell’epoca come la mancanza di amore reciproco fra gli uomini, il disprezzo dell’autorità, l’ingiustizia sociale, la corsa ai beni materiali. Per Benedetto XV grande è la preoccupazione per un mondo dove continuano ad affermarsi, sempre di più, nazionalismo e razzismo. Per questo il tema predominante rimarrà la pace. Già il 28 luglio del 1915, l’anno in cui l’Italia decide di entrare in guerra, parla di “orrenda carneficina” e, nel messaggio natalizio dello stesso anno descrive il mondo come “ospedale ed ossario”. Il suo impegno non si fermerà qui e raggiungerà l’apice il 1 agosto 1917 quando proverà ad intervenire direttamente nel conflitto con un proprio progetto di pace, rivolgendosi ai governanti e all’opinione pubblica, non più nella forma di un’esortazione generale – come un’enciclica o un discorso – bensì utilizzando l’istituto della “Lettera”, strumento efficace soprattutto in un momento in cui le Chiese nazionali appoggiavano, in gran parte, i governi degli Stati di appartenenza.
Nel documento sottolinea che è giunto il momento di “arrivare a proposte più concrete e pratiche” per trovare una “pace giusta e duratura”: deve essere fatto ogni sforzo e giungere “alla cessazione di questa lotta tremenda, la quale ogni giorno di più appare una inutile strage”. Un appello inascoltato. Visto che messaggi, richieste, offerte di mediazione cadevano facilmente, al pontefice, molto rammaricato e preoccupato per le sorti del mondo, non rimase che adoperarsi sul fronte della carità, dell’accoglienza e del soccorso per le vittime della guerra: raccolta e trasmissione del nome dei caduti, dei prigionieri, dei feriti; difesa e conforto dei prigionieri; aiuti finanziari, abbigliamento, vettovaglie etc. E l’appello: “Ascoltate dunque la Nostra preghiera, accogliete l’invito paterno che vi rivolgiamo in nome del Redentore divino, Principe della pace. Riflettete alla vostra gravissima responsabilità dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini; dalle vostre risoluzioni dipendono la quiete e la gioia di innumerevoli famiglie, la vita di migliaia di giovani, la felicità stessa dei popoli, che Voi avete l’assoluto dovere di procurare. Vi inspiri il Signore decisioni conformi alla Sua santissima volontà, e faccia che Voi, meritandovi il plauso dell’età presente, vi assicuriate altresì presso le venture generazioni il nome di pacificatori. Noi intanto, fervidamente unendoci nella preghiera e nella penitenza con tutte le anime fedeli che sospirano la pace, vi imploriamo dal Divino Spirito lume e consiglio”.
Un appello, quello di Benedetto XV, che a guardarlo con gli occhi di oggi, rimane purtroppo di stringente attualità. “L’Europa – scriveva – così gloriosa e fiorente, correrà, quasi travolta da una follia universale, all’abisso, incontro ad un vero e proprio suicidio?”. Il punto fondamentale – aggiunge – deve essere che sottentri alla forza materiale delle armi la forza morale del diritto. Quindi un giusto accordo di tutti nella diminuzione simultanea e reciproca degli armamenti secondo norme e garanzie da stabilire, nella misura necessaria e sufficiente al mantenimento dell’ordine pubblico nei singoli Stati; e, in sostituzione delle armi, l’istituto dell’arbitrato con la sua alta funzione pacificatrice, secondo e norme da concertare e la sanzione da convenire contro lo Stato che ricusasse o di sottoporre le questioni internazionali all’arbitro o di accettarne la decisione. Stabilito così l’impero del diritto, si tolga ogni ostacolo alle vie di comunicazione dei popoli con la vera libertà e comunanza dei mari: il che, mentre eliminerebbe molteplici cause di conflitto, aprirebbe a tutti nuove fonti di prosperità e di progresso”. La guerra, per dirla con papa Francesco – “è sempre una sconfitta”. Cosa c’è di più attuale…
Raffaele Iaria