Quattro anni con Francesco. Un pontificato di accoglienza, in lotta contro l’indifferenza
Oggi è l'anniversario dell'elezione al soglio di Pietro di Jorge Mario Bergoglio. Come per tutta l’opera di riforma avviata nella chiesa, lo stile scelto da papa Francesco nell’Evangelii gaudium, il suo documento programmatico, è quello di avviare processi, più che occupare spazi. Contro la «terza guerra mondiale» a pezzi, il modello è quello dell’accoglienza. “Accoglienza” è una delle parola chiave di questi quattro anni. Accogliere i poveri e gli ultimi, i migranti, i giovani e le famiglie, i non credenti e i fratelli delle altre religioni
Due encicliche e due esortazioni apostoliche, 17 viaggi internazionali e dodici in Italia, tre concistori, un sinodo in due tempi sulla famiglia preceduto dalla consultazione di tutta la chiesa universale, un giubileo straordinario dedicato alla misericordia, la prima riforma della curia romana dopo la Pastor bonus, portata avanti in maniera collegiale.
Quando Jorge Mario Bergoglio, la sera del 13 marzo 2013, si è affacciato dalla loggia delle benedizioni in qualità di successore del primo papa dell’epoca moderna ad aver rinunciato al soglio di Pietro, tranne che per (pochi) addetti ai lavori non era nella lista dei candidati. In questi primi quattro anni, il papa venuto «dalla fine del mondo» ci ha ormai abituato alle sorprese di quello che, oltre che delle parole, è un magistero dei gesti.
Caratterizzato dalla «rivoluzione della tenerezza» e da una parola – accoglienza – declinata a tutto tondo: verso i poveri e gli ultimi, verso i migranti, verso le famiglie e i giovani, verso i non credenti e i “fratelli” delle altre religioni. Non è un caso che il quinto anno di pontificato di Francesco si apra con un anniversario ormai alle porte: il primo dell’esortazione apostolica Amoris laetitia, a conclusione del suo primo sinodo, e con l’inizio di un percorso che – tramite il nuovo sinodo dedicato ai giovani – chiamerà ancora una volta a raccolta la chiesa cattolica in tutte le sue articolazioni. A cominciare proprio dai suoi giovani protagonisti, definiti già nel documento preparatorio maestri nel compito di aiutare la chiesa a intravedere le strade del futuro.
«Accogliere, discernere, integrare». Sono i tre verbi dell’Amoris laetitia, cui fanno eco altri quattro verbi, «accogliere, proteggere, promuovere e integrare» contenuti in quella che si può definire una “magna charta” delle migrazioni: il discorso del 21 febbraio scorso ai partecipanti al Forum su migrazioni e pace. E proprio il dramma dei migranti, vittime di un Mediterraneo trasformatosi in un cimitero, è stato l’impulso per il primo viaggio in Italia di Francesco, a Lampedusa, mentre le “carrette del mare” sono state il fulcro delle meditazioni della via crucis 2016 preparate dal card. Gualtiero Bassetti.
Dai migranti alla famiglia: ha suscitato una vasta eco, anche mediatica, il recente discorso alla Rota romana, in cui il papa ha chiesto ai parroci di essere vicini ai giovani che scelgono di convivere. Quasi un filo rosso tra il suo primo sinodo, in cui ha invitato tutta la chiesa a porsi “in uscita” partendo dall’ascolto della difficoltà delle coppie e delle famiglie, così come sono, con le loro fragilità, e il sinodo del 2018.
La preghiera per la Siria, gli ulivi piantati in Vaticano con Perez e Abu Mazen, l’abbraccio con Kirill a Cuba, quello con Bartolomeo a Lesbo, il viaggio in Svezia per il 500° anniversario della Riforma protestante e il prossimo, ancora allo studio, con Justin Welby in Sud Sudan. È fuor di dubbio che con Francesco il dialogo ecumenico abbia conosciuto un’accelerazione.
Come per tutta l’opera di riforma avviata nella chiesa – e che finora ha prodotto il C9, la Segreteria per l’economia e la Segreteria per la comunicazione, due nuovi dicasteri (Laici, famiglia e vita e Servizio allo sviluppo umano integrale), la Commissione per la tutela dei minori e la Commissione per il diaconato femminile – lo stile scelto da Francesco nell’Evangelii gaudium, il suo documento programmatico, è quello di avviare processi, più che occupare spazi.
Compiere un tratto di strada insieme, fin dove si può, partendo dai legami di amicizia personali o dalla capacità di empatia e prossimità con chi non incrocia abitualmente i sentieri ecclesiali, come i non credenti. Sullo sfondo, apparentemente dietro le quinte ma in realtà motore della testimonianza personale del cristiano oltre che della storia, la misericordia del buon Samaritano, che si china per versare olio su chi è ferito in vario modo dalla vita.
Come i senzatetto, a cui il papa ha dedicato un inedito appuntamento giubilare, istituendo la Giornata mondiale dei poveri, o i carcerati, che in una delle istantanee più memorabili del giubileo hanno riempito la basilica di San Pietro con una compostezza umile e fiera nello stesso tempo, più eloquente di tante parole. Perché la vita, la sua serietà e il suo peso specifico, si possono apprezzare davvero solo con gli “occhiali” delle periferie, troppo spesso martoriate e dimenticate dalla «globalizzazione dell’indifferenza». Messe a rischio – come l’intero scacchiere – dalla «terza guerra mondiale a pezzi», per scongiurare la quale Francesco non si stanca di esortare governi e singoli.