La lavanda dei piedi del papa ai rifugiati, “invito al dialogo dopo Bruxelles”
Al Cara di Castelnuovo di Porto il tradizionale gesto prepasquale. I profughi arrivano da Nigeria, Eritrea, Mali e Pakistan e sono cattolici, cristiani copti, indù, musulmani. Perego (Migrantes): “Dopo gli attacchi l'invito è a non chiudersi”. Ripamonti (Astalli): “Gesto semplice e dirompente”.
“I gesti parlano più delle immagini e delle parole”.
Prima di lavare i piedi a 12 ospiti del “Cara” di Castelnuovo di Porto, il Papa ha cominciato così l’omelia della Messa: pronunciata interamente a braccio, in pochi ma intensi minuti, ha avuto per soggetto la contrapposizione tra “due gesti”: quelli del servizio e della fratellanza e quelli dei trafficanti di morte, che hanno dato luogo ai tragici attentati di tre giorni fa a Bruxelles.
“I gesti… Ci sono in questa Parola di Dio che abbiamo letto due gesti”, ha spiegato Francesco: “Gesù che serve, che lava i piedi, Lui che era il capo lava i piedi ai suoi, ai più piccoli”. Il secondo gesto: “Giuda che va dai nemici di Gesù, da quelli che non vogliono la pace con Gesù, a prendere il denaro col quale lo ha tradito, le trenta monete”.
“Anche oggi qui ci sono due gesti”, ha attualizzato il Papa: “Questo, tutti noi, insieme – musulmani, indi, cattolici, copti, evangelici ma fratelli, figli dello stesso Dio – che vogliamo vivere in pace, integrati. Un gesto”. “Tre giorni fa”, invece, “un gesto di guerra, di distruzione, in una città dell’Europa: di gente che non vuole vivere in pace”.
Siamo fratelli, e questo ha un nome: pace
“Facciamo vedere che è bello vivere insieme come fratelli, con culture, tradizioni e religioni differenti. Ma siamo tutti fratelli e questo ha un nome: pace e amore”: così Papa Francesco, alla conclusione della Messa in Coena Domini, celebrata al Cara di Castelnuovo di Porto, dopo aver ricevuto i doni da parte dei profughi e aver ascoltato un canto copto dedicato alla Vergine
Le storie dei richiedenti asilo
Arrivano da Nigeria, Eritrea, Mali e Pakistan. Sono cattolici, cristiani copti, indù, musulmani. I 12 apostoli davanti ai quali papa Francesco si inginocchia per la tradizione lavanda dei piedi prepasquale sono 11 richiedenti asilo del Cara di Castelnuovo di Porto, una località appena fuori Roma e un’operatrice cattolica della cooperativa Auxilium, che dal 2014 gestisce il centro. Una scelta, quella del pontefice, dal forte valore simbolico: mentre l’Europa alza nuovi muri contro i migranti e pensa a chiudere le frontiere, il Papa sceglie i rifugiati, per il gesto simbolo di ospitalità, accoglienza e dell’amore di Dio verso il prossimo.
Sira, 37 anni, uno dei tre musulmani che incontrano Francesco per la lavanda, proviene dal Mali. È arrivato al Cara da meno di due anni dopo essere passato per il Niger e la Libia. Mohamed, anch’egli musulmano, ha compiuto 22 anni oggi ed è arrivato al centro due mesi fa: nato in Siria, è scappato varcando i confini della Libia fino per approdare sulle nostre coste a Lampedusa lo scorso 11 gennaio. Il terzo rifugiato di religione musulmana è Khurram, compirà 26 anni a giugno, ed è originario del Pakistan. Proprio da lì è partito attraversando Iran, Turchia, Grecia, Macedonia, Serbia, Ungheria e Austria fino all’arrivo a Caltanissetta l’1 settembre 2015.
L’unico profugo di religione indù è Kunal, 29 anni, che viene dall’India. Il Papa ha lavato i piedi anche a tre donne eritree di religione copta. La più grande, la ventiseienne Luchia, Kbrache ha appena 23 anni e la terza, Lucia, deve ancora compiere vent’anni. Tutte e tre hanno attraversato l’Etiopia e la Libia prima di arrivare sulle nostre coste.
Tra i dodici profughi ci sono poi quattro giovani nigeriani, di cui due fratelli, arrivati in periodi diversi in Italia ma con lo stesso tragitto. I due fratelli sono Shadrach Osahon ed Endurance rispettivamente di 26 e 21 anni. ci sono poi Miminu Bright che compirà 27 anni il prossimo 15 giugno e il ventiduenne Osma, già laureato in fisica.
Infine c’è Angela Ferri, 30 anni, un’operatrice della cooperativa cha due mesi fa ha perso la mamma. In tutto il centro di accoglienza di Castelnuovo di Porto ospita 892 persone di cui 554 di religione musulmana, 337 cristiana e 2 indù. Tra queste, anche tre famiglie di profughi che il papa ha incontrato: Amin, originaria della Palestina, Haron e Mesfun che arrivano dall’Eritrea. La famiglia degli Amin è composta dalla bisnonna Taqia, che nel lontano 1948 si era rifugiata in Iraq e poi nel 2012 in Siria, dal figlio Hassan, sposato con Sawsan e la figlia Tahani. Tahani a sua volta si è sposata con Dardir con il quale ha avuto due figli di otto e sei anni, Roshdi e Mohammad. Infine, la bisnonna Taqia ha anche un altro nipote di nome Hani. Gli Amin sono arrivati al C.A.R.A su un “barcone della speranza” lo scorso gennaio come la famiglia Haron. Quest’ultima ha dovuto affrontare un viaggio difficilissimo poiché Lucia, moglie di Hassen, era incinta. L’ultima famiglia che Papa Francesco incontrerà oggi sarà quella eritrea dei Mesfun composta solo da Luchia e sua figlia Merhawit, il cui nome in italiano è libertà.
Migrantes: “Un gesto importante dopo Bruxelles: religioni non come strumento di guerra ma ponti per il dialogo”.
Secondo monsignor Giancarlo Perego, direttore della fondazione Migrantes quello di papa Francesco è un gesto dal valore simbolico altissimo, soprattutto dopo i recenti atti terroristici in Belgio. “Il primo significato di questa lavanda è legato al Giubileo: ci ricorda come la misericordia sia la capacità di aprirsi verso le persone in difficoltà e come, per questo, sia fondamentale ripartire dagli ultimi – spiega Perego - Ma il significato ulteriore e più importante è legato ai recenti fatti di Bruxelles: il Papa ci invita a superare il rischio di chiudersi davanti a a questi fatti drammatici e non riconoscere più il rifugiato e il richiedente asilo come colui che ha bisogno di protezione. Inoltre, scegliendo persone che hanno un diverso credo il Papa ci ricorda che le religioni sono uno degli strumenti più importanti di incontro e dialogo per superare questo momento di paura. L’invito, dunque, è al dialogo religioso, a non guardare alle religioni come strumento di guerra ma come opportunità di costruire ponti per un futuro di pace”.
L'altro tema è quello dell'accoglienza: “Il pontefice ci ricorda sempre il grande significato da dare all’hospes che non è un nemico ma una persona a cui aprire la casa – aggiunge – così oggi ripete l’invito che aveva già fatto a parole: cioè ad aprire ogni parrocchia e santuario alle famiglie di profughi. La Chiesa ha ospitato già 5 mila persone in questi mesi, Francesco ci dice di continuare nell’accoglienza, di superare la paura, non chiudere le porte e alzare altri muri”.
Astalli: “Gesto semplice e dirompente”.
Anche per padre Camillo Ripamonti, direttore del Centro Astalli la lavanda dei piedi ai rifugiati “è il segno visibile di una Chiesa non ripiegata su se stessa ma china sull'umanità sofferente segno profetico per una società disorientata, ospedale da campo per soccorrere uomini e donne feriti nella loro dignità. Un gesto semplice ma dirompente”.
Così, dopo gli attentati, ma anche dopo gli accordi tra l’Ue e la Turchia, che hanno segnato il destino di migliaia di persone che scappano “il Papa ci invita idealmente a considerare quei piedi sporchi di fango di bambini, donne e uomini non un problema loro ma nostro, di Chiesa, di società civile – sottolinea - Lavare quel fango da quei piedi, al di là del valore simbolico per un cristiano, aiuta anche noi cittadini dell'Europa a emergere dal fango in cui rischiamo di impantanarci. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un deflagrare dell'Unione Europea non tanto a causa delle bombe dei terroristi ma perché in questi ultimi decenni forse l'Europa ha perso la strada dei diritti e della dignità della persona su cui si fonda, per andare dietro a interessi economici e nazionalistici che l'hanno trasformata da casa comune a fortezza per pochi, da casa dei diritti a castello dei privilegi. Fortezza a cui stiamo scavando attorno dei fossati dove chi fugge da violenze inaudite rimane bloccato nel fango”.
Sir