Un giorno al monastero di Campese per riscoprire le radici dell'Occidente
Le radici dell’Occidente, tutte, non solo quelle “cristiane”, rispondono il più delle volte a un solo nome. Quello di Benedetto da Norcia, fondatore del monachesimo e faro di civiltà negli anni bui dell’alto Medioevo. Sabato 11 luglio, giorno in cui ricorre la sua festa, a San Benedetto di Campese la comunità avrà modo di sostare, unita, tra le propaggini più evidenti di quelle radici. E persino di toccarle con mano, negli ambienti millenari dell’antico monastero benedettino.
Si parte alle 10, con la messa celebrata in onore del patrono d’Europa nella chiesa parrocchiale di Campese, nata quasi mille anni fa all’interno dell’antico complesso abbaziale, prima cluniacense e successivamente passato ai monaci dell’abbazia di Polirone a San Benedetto Po, in provincia di Mantova.
La messa sarà presieduta da don Giulio Dalle Carbonare dell’unità pastorale del Medio Brenta e sarà accompagnata dal coro diretto da Giuliano Bianchi e dalla musica dell’organo, chitarre e flauti.
Alle 11 Attilio Bertolin terrà una lezione storico-artistica sul monastero
Dopo un pasto frugale nel chiostro del monastero, tra cereali, pane e semplici pietanze di tradizione benedettina, nel pomeriggio sono in programma canti, rievocazioni, la guida di Ruggero Spoladore e Giulia Bizzotto, vincitrice nel 2010 del premio “Antonio Campagnolo” per una tesina sulla presenza dei benedettini a Campese.
La giornata in onore di san Benedetto si ripete ogni anno dal 1998, dopo il restauro del monastero, grazie all’associazione Amici di san Benedetto e La Spigolatrice, con il patrocinio del comune di Bassano del Grappa
«Siamo un’associazione caritatevole e missionaria – spiega Francesca Trisotto, presidente de La Spigolatrice – dobbiamo il nostro nome a un racconto di Rabindranath Tagore, molto amato dalla venerabile Benedetta Bianchi Porro, su quella spigolatrice che donando un chicco di grano al Re dei Re se lo ritroverà mutato in oro, segno che dal nostro piccolo Gesù produce una ricchezza che non muore mai».
Trisotto insiste sui grandissimi meriti storici della presenza dei benedettini a Campese. «Qui era tutta palude. Sono stati loro a rendere le nostre terre coltivabili. Anche il famoso ponte di Bassano non è altro che una copia di un antico ponte benedettino che univa Campese a Bassano. Nel monastero restaurato, oltre agli affreschi e agli archetti rimasti della sala del capitolo, sono stati rinvenute recentemente persino le antiche celle dove abitavano i monaci 900 anni fa».
Ancor prima che nelle radici d’Europa e d’Italia, Benedetto vive così nella parte più profonda del cuore di ogni campesano.