La via cristologica all'ecumenismo

Nella Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani siamo chiamati a riflettere sulla storia delle divisioni. Seguendo le indicazioni della lettera di Paolo ai Corinti, essa trova la sua principale origine, quando al posto di Cristo si pongono personaggi o ideologie altre da Lui e dal suo Vangelo, quando la parola di questi personaggi sovrasta quella del Vangelo

Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani

Il tema della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani – “Cristo non può essere diviso!” (1 Cor 1,1-17) – ci riporta all’origine delle divisioni e segna come il punto di partenza di una storia aperta e mai conclusa.

Già in epoca apostolica nella comunità, pur piccola e piena di carismi, di Corinto, si trova annidata la tentazione della divisione. Questa, come spiega Paolo, è dovuta al fatto che alcuni cristiani hanno scelto come loro capo un personaggio diverso da Cristo. La mancanza di centralità riconosciuta a Gesù, l’unico Salvatore e Signore, l’unico che è stato crocifisso per la salvezza, sta all’origine della divisione. In questa vicenda raccontata da Paolo troviamo, oltre alla dura denuncia della formazione di “partiti” separati e in contrasto tra loro, anche la via per ricomporre l’unione della comunità: riportare al centro Cristo. Potremmo chiamarla la via cristologia dell’ecumenismo, prendendo atto e rimarcando la differenza tra il Cristo e i suoi apostoli, tra Cristo e la comunità dei discepoli, tra il regno e la chiesa. Se, da una parte, Gesù ha voluto identificarsi con i suoi apostoli: «Chi ascolta voi ascolta me», per il Verbo che annunziano, e con questo ha deciso di legare la sorte della fede e della salvezza al ministero dei suoi “inviati”; dall’altra parte, ha ammonito di non farsi padroni del gregge, di non porsi al di sopra dei fedeli, ma accanto a essi come loro servitori: «Chi vuol essere il primo sia l’ultimo», «Non fatevi chiamare maestri, uno solo è il vostro maestro».

La storia delle divisioni, che ha indubbiamente molte cause, seguendo le indicazioni della lettera di Paolo, trova la sua principale origine, quando al posto di Cristo si pongono personaggi o ideologie altre da Lui e dal suo vangelo, quando la parola di questi personaggi sovrasta quella del vangelo. L’apostolo per avere il mandato da Cristo deve confessare come Pietro «Tu sei il Cristo» e come Tommaso «Signore mio e Dio mio». È bello pensare che a imitazione dell’adorazione dei Magi - proskinesis - e la loro offerta di doni di cui si è fatta memoria nei giorni di Natale tutti i discepoli, pur sparsi nel mondo, facciano esperienza anche emotiva di una profonda unione nella concorde confessione di fede al di sopra d’ogni altra vicendevole diversificazione.

La Settimana di preghiera nella sua lunga storia ha superato la tentazione dell’ecclesiocentrismo - la Chiesa come centro e criterio normativo di fede per tutti - per cui si proponeva di diventare tutti cattolici o tutti ortodossi o tutti evangelici, e ha intrapreso la strada della comune convergenza a Cristo, affidandosi alla preghiera e alla conversione del cuore (Paul Couturier).Il tema e la struttura della preghiera per la Settimana di quest’anno sono stati preparati da un gruppo misto di cristiani del Canada, un paese lontano da Roma, da Costantinopoli e da Ginevra, a indicare l’universalità della chiesa. Le iniziative comuni che si attivano costituiscono il segno d’unità già esistente, perché al centro è posto il Cristo e la sua Parola, la realtà più importante e decisiva di unione rispetto a tutto il resto. Si dovrà ricordare e prendere atto, a tale proposito, che se un tempo, quando il mondo era formato da una cultura almeno formalmente considerata cristiana, era consentito discutere anche animatamente sulle differenze tra confessioni cristiane in competizione e forte dialettica dottrinale, oggi in una società globalizzata e secolarizzata e con migliaia d’offerte religiose sul mercato del sacro è molto richiesta per la credibilità ed efficacia della missione evangelica la testimonianza d’unione, fraternità, amore e condivisione di vita. Dovrebbero poter dire tutti quelli che vengono a contatto con i cristiani: «I cristiani, vedi come si amano!». Il nuovo santo gesuita Favre, come si legge nel n. 3924 de La Civiltà cattolica (p. 551-556), già al tempo della Riforma, trovandosi in Germania negli anni Quaranta del Cinquecento riteneva che la divisione era determinata da cattiva condotta dei cristiani e che poteva essere superata dal riconoscimento di ciò che abbiamo in comune – «le cose che sono comuni a noi e a loro» («Nobis et ipsis sint communes»). Intuizione di un santo, ancora del tutto attuale.

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Fonte: Sir