Parola di Caritas: “Nessun muro potrà fermare la nostra solidarietà”
Parla don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana, a conclusione del Convegno nazionale delle Caritas diocesane a Castellaneta (Taranto). Povertà e tutela dell’ambiente, carcere, disoccupazione giovanile, sfruttamento lavorativo al centro del lavoro dei delegati.
Povertà e tutela dell’ambiente, carcere, disoccupazione giovanile, sfruttamento lavorativo.
Sono tante le urgenze su cui i 530 delegati delle Caritas di 155 diocesi italiane si sono confrontati nell’ambito dello “sviluppo umano integrale”, tema centrale del 39° convegno che si è svolto, dal 27 al 30 marzo, a Castellaneta (Taranto). Ne abbiamo parlato con don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana, con uno sguardo all’attualità.
Al Senato è stata votata la fiducia al decreto sicurezza sull’immigrazione che reintroduce, tra l’altro, i centri di identificazione per le espulsioni. Quale valutazione?
Non possiamo che esprimere un giudizio altamente negativo perché i diritti della persona devono essere comunque salvaguardati. Da tempo Caritas italiana, insieme ad altri organismi, si è fatta portavoce dei diritti da rispettare. I centri di accoglienza devono svolgere la funzione per cui sono nati, senza trasformarli in altro.
Si torna così al vecchio binomio immigrazione-sicurezza. Per noi invece è prioritario che qualsiasi atto che riguardi una persona, che sia di carattere amministrativo e di altra natura, abbia a fondamento il rispetto dei diritti che in molti casi non viene garantito nei Paesi di origine. I muri che sempre più vengono costruiti nel mondo, anche in Europa, quelli che vengono pianificati, ostentati, minacciati, ci possono separare dai nostri fratelli migranti e da quelli che hanno bisogno di noi, ma non potranno mai fermare la nostra solidarietà.
Quale giudizio sull’approvazione della legge sui minori migranti non accompagnati?
Senza ombra di dubbio il giudizio è positivo. È un traguardo che vede l’Italia come apripista di un percorso. È un obiettivo raggiunto. L’Italia deve tenere sempre alti questi valori, in modo tale che chi è chiamato a concorrere al bene comune delle persone trovi un modello da seguire.
Il governo ha sei mesi di tempo per realizzare una legge che preveda il reddito d’inclusione sociale. Aspettative?
Ciò che è avvenuto in questi anni è già una grande cosa. Non è tutto quello che abbiamo auspicato con la nascita nel 2012 dell’Alleanza contro la povertà, sostenuta dalla Chiesa italiana tramite Caritas italiana. Questo impegno ha portato all’approvazione al Senato, il 9 marzo, della Legge delega sulla povertà: per la prima volta, nella storia del nostro Paese, il Parlamento ha definito una reale misura di contrasto alla povertà assoluta. Si tratta di un deciso passo in avanti, pur nella consapevolezza della necessità di una decretazione attuativa all’altezza della sfida: vale a dire uno strumento di lotta alla povertà capace d’includere progressivamente tutte le persone e le famiglie più povere. C’è stato un cambiamento soprattutto nella terminologia. Certi termini come “sostegno attivo all’inclusione attiva” erano impensabili cinque anni fa. Certo, si deve ancora molto lavorare, soprattutto, riguardo alla copertura finanziaria di certi progetti.
Nei giorni scorsi sono arrivate altre famiglie siriane a Manfredonia attraverso i canali umanitari: è un cambio di prospettiva per la Caritas?
Non direi un cambio di prospettiva: la Caritas ha opportunità diverse rispetto al passato, garantite da una visione più concreta da parte della Conferenza episcopale italiana. Noi siamo il braccio operativo e siamo molto contenti e soddisfatti di poter mettere in campo uno strumento di questo tipo. Senza l’aiuto dell’8xmille non sarebbe stato possibile. Da un punto di vista istituzionale Caritas italiana, insieme a Migrantes, non hanno mai cessato di richiamare l’attenzione per mettere in atto questi canali umanitari. È ovvio che le risorse finanziarie sono determinanti. Naturalmente vi è molto altro dietro, come la rete delle persone e l’impegno Caritas che si fa garante sia a monte sia in transito dell’accoglienza, ad esempio con il progetto “Protetto: rifugiato a casa mia” che vede impegnata tutta la nostra rete.
C’è anche un diritto del migrante a tornare nel proprio Paese. La Chiesa italiana sta stanziando fondi?
C’è un diritto a rimanere nella propria terra che è altro da quanto intende dire parte della politica italiana dicendo “Aiutiamoli a casa loro facendoli rimanere lì”. Si tratta di avere una vita degna nella propria terra. La nostra attenzione è sempre stata alta, attraverso la cooperazione allo sviluppo e la promozione di microprogetti. In questo periodo la Chiesa italiana si è fatta promotrice di un progetto molto importante ed interessante che vede almeno tre fasi: i luoghi di partenza, di transito e di arrivo. Con una attenzione speciale ai minori non accompagnati. Abbiamo individuato le zone dell’Africa da cui provengono maggiormente i migranti, cercando di costruire dei progetti appositi in Mali, Somalia, Nigeria e altri. Nei Paesi di transito e in Italia, nei punti di arrivo e nei luoghi dove vengono accolti. La legge sui minori non accompagnati appena approvata può facilitare la costruzione di questa progettazione.
I centri di accoglienza, le mense, i centri d’ascolto sono ancora pieni di poveri italiani: quali prospettive?
Le mense rimangono sempre molto sature.
In questo senso dovremmo fare un salto qualitativo, cioè capire che oltre le mense esiste la promozione della persona. Ossia dare la possibilità alle persone di costruirsi il pasto, oltre a procurarsi il cibo. Dovremmo passare dalle “mense” alla “mensa della famiglia”.
Poi c’è il nervo scoperto della disoccupazione giovanile al 40%...
Si è parlato dei giovani soprattutto nei gruppi di lavoro, nei richiami del presidente, negli interventi del card. Turkson e nelle testimonianze. Ai giovani bisogna presentare modelli di vita e opportunità lavorative.
Oggi possono essere intercettati sia come portatori di bisogni, anche molto urgenti – lavoro, formazione, salute – sia come risorse straordinarie per incontrare e servire le povertà con la loro carica, energia, freschezza e sguardo nuovo. Perciò, non si deve avere paura di offrire loro proposte forti e ruoli di maggiore responsabilità nei progetti che vengono messi in campo. Il lavoro non potremo mai preconfezionarlo. Esistono dei progetti che facilitano un percorso cristiano della persona all’interno del lavoro come il “Progetto Policoro”. Inoltre rimane sempre strategico investire o rafforzare risorse ed energie nel mondo della scuola, anche valorizzando l’integrazione e la cooperazione con altri soggetti ecclesiali.
Quali sono oggi le povertà emergenti?
La mancanza di lavoro e tutto ciò che ruota intorno al mondo del lavoro, come lo sfruttamento. Da qui nascono tutte le ombre del nostro Paese che possiamo classificare entro e dietro il termine “mafie”, che offrono lavoro ma sono orientate invece all’utilizzo e allo sfruttamento della persona. Ma la povertà più grande è quella relazionale e richiama molto l’aspetto educativo e la funzione pedagogica della Caritas.
La tutela dell’ambiente contro danni, come l’inquinamento, è stata centrale nel convegno. Una nuova attenzione?
Sono tutte le attenzioni in cui la Chiesa è chiamata a svolgere la propria missione. Non si può promuovere l’uomo a prescindere da ciò che lo circonda e sfruttando tutto ciò che gli è stato dato. Bisogna salvaguardare l’ambiente per la propria crescita e la crescita della società. Se viene a mancare si parla di sfruttamento del territorio che si rivolge contro l’uomo stesso.