La parola ai preti novelli: MIrko Gnoato, l'orafo diventato prete
È vicentino di Romano d'Ezzelino, don Mirko Gnoato, e in particolare del Sacro Cuore. Una carriera ventennale da tecnico in oreficeria nella quale ha fatto "irruzione" la chiamata del Signore, da cui è iniziato il cammino vocazionale nel 2010. Il suo pensiero va alla consapevolezza di sé e della propria chiamata maturata in questi anni di seminario, principalmente grazie all'esempio degli educatori.
Mirko Gnoato (12 settembre 1973) è originario della parrocchia del Sacro Cuore di Romano d’Ezzelino. Primo di due fratelli, iscritto all’istituto superiore Scotton di Bassano del Grappa, nel 1990 ha conseguito la qualifica di orafo. Dopo circa vent’anni di lavoro e con la successiva ripresa degli studi, nel 2009 ha conseguito la maturità statale professionale come tecnico per l’industria orafa. Nello stesso anno ha iniziato il gruppo vocazionale diocesano e nell’ottobre del 2010 è entrato nella comunità di Casa sant’Andrea per l’anno di discernimento vocazionale. L’anno successivo ha iniziato il cammino formativo in seminario maggiore. Durante gli anni in seminario ha prestato servizio nella parrocchia della Mandria e a Creola e Saccolongo. Ha svolto il proprio ministero diaconale nella parrocchia di San Giacomo di Romano d’Ezzelino.
La domanda
Il cammino in seminario maggiore come senti che ti ha permesso di maturare negli ambiti spirituale e intellettuale, umano e pastorale? C’è qualche spunto di riflessione, anche provocazione, fornito dai tuoi educatori che senti importante all’inizio del ministero?
L’approfondimento svolto nell’ambito della maturità umana e delle relazioni, nel segno della gratuità e sostenuto dall’ascolto della Parola e dall’eucaristia, mi ha aiutato a crescere e prendere sempre più consapevolezza di ciò che sono e sono chiamato ad essere, come uomo e prete, per le persone che incontrerò.
Tuttavia penso di non sbagliarmi se dico che l’aspetto che maggiormente mi ha colpito in questi anni di formazione in seminario è l’esempio concreto manifestatoci dai nostri educatori che ci hanno fin qui accompagnato. Il loro vissuto, giorno dopo giorno, riconsegnato a me e ai miei compagni di cammino è stato come una sorta di trasmissione della fede. Quello che hanno annunciato a noi con la loro voce, cioè la parola di Dio, l’hanno saputa testimoniare ogni giorno con la loro vita.
La speranza che in questo tempo ho provato a coltivare, sorretto anche dalla loro presenza, posso tradurla con le parole già espresse in passato dal vescovo Tonino Bello:
«L’acqua, il vino, il pane... la trilogia di un’esistenza ridotta all’essenziale, li porterò con me, nella bisaccia del pellegrino, mi serviranno tanto sulla strada di viandante un po’ stanco, e serviranno tanto alla mia chiesa, anzi, quando mi chiederà qualcosa, spero di non aver altro da darle che questo: né denaro, né prestigio, né potere, ma solo acqua, vino e pane».